Sì alla comunione ai divorziati risposati

Sì alla comunione ai divorziati risposati
8 aprile 2016

Papa Francesco apre, seguendo e approfondendo quanto deciso dal Sinodo dei vescovi a ottobre scorso, alla possibilità, non generalizzata, che una coppia sposata dopo un precedente divorzio abbia accesso alla comunione, possibilità sinora vietata, pur precisando, nella esortazione apostolica Amoris laetitia pubblicata oggi, di non stabilire alcuna “nuova normativa generale”, ma ribadendo, in una nota, che “l’eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un elemento per i deboli” e propugnando, più in generale, la necessità che tale coppia sia “integrata” nella vita della Chiesa. “I divorziati che vivono una nuova unione”, scrive il Papa su uno degli argomenti più controversi del doppio sinodo 2014-2015, “possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe”. C’è anche “il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di ‘coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido'”.

Altra cosa invece “è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia”. Ciò premesso, “accolgo – prosegue il Papa – le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che ‘i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo'”. In questa “logica dell’integrazione” è necessaria la loro “partecipazione” alla vita della Chiesa, che “può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”. Di conseguenza, “se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile – puntualizza il Papa – che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché ‘il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi’, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”, “nemmeno – puntualizza Francesco in nota – per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave”.

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Ribadendo, al proposito, quanto già stabilito dai documenti sinodali (la necessità di un esame di coscienza, con momenti di pentimento, accompagnato da un confessore, che valorizzi il discernimento nel foro interno, sotto la responsabilità del vescovo), il Papa precisa: “Questi atteggiamenti sono fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente ‘eccezioni’, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale”. Più in generale, “un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni ‘irregolari’, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone” e “a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. In “certi casi”, precisa Francesco in nota, citando la propria precedente esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, “potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”. In questo contesto, “l’Eucaristia ‘non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli'”.

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