Grillo e Salvini sconfitti. Ma ora per il premier è incubo Italicum

Grillo e Salvini sconfitti. Ma ora per il premier è incubo Italicum
18 aprile 2016

di Carlantonio Solimene

Difficile, con una percentuale di votanti intorno al 30%, stabilire chi esca vincitore e chi sconfitto dal referendum sulle trivelle. Di certo non possono essere contenti del risultato Beppe Grillo e Matteo Salvini. È stato il leader del MoVimento 5 Stelle a esporsi più degli altri per un quesito che, nonostante negli ultimi giorni si siano sprecati i tentativi di spiegarne il significato agli italiani, è rimasto oscuro a gran parte del corpo elettorale. Lampante, da questo punto di vista, uno degli ultimi appelli al voto fatti da Grillo: “Anche se non capite, votate sì”. Gli italiani, per lo meno i due terzi, hanno invece preferito restarsene a casa. Sul referendum aveva puntato tanto anche Salvini.

Il no alle trivelle, al di là del merito, rappresentava un primo tentativo di unire sotto una stessa bandiera l’intero fronte anti-renziano. Un anticipo di quell’asse Lega-M5S che in molti vedono all’orizzonte anche se l’improvvisa scomparsa di Gianroberto Casaleggio potrebbe causare un rallentamento dell’operazione. Invece le urne non hanno premiato il tentativo, complice anche l’incapacità di coordinarsi. Nessun evento in comune, nessuna stretta di mano alla luce del sole. Sintomo di quanto sia difficile unire mondi che, al momento, si ritrovano solo sull’antirenzismo. E sintomo, visti i dati delle regioni del Sud non interessate dalle trivelle, anche di come la nuova destra a trazione lepenista non sia ancora guardata con favore sotto il Tevere.
Ma di certo non può cantare vittoria neanche Matteo Renzi. L’aver politicizzato eccessivamente un referendum che in realtà era tecnicissimo, ha probabilmente contribuito ad alzare l’asta dell’affluenza che, in condizioni normali, non avrebbe probabilmente raggiunto la soglia del 30%. Invece, un po’ la spregiudicatezza del premier, un po’ lo scandalo Guidi che ha riportato in auge la famigerata “lobby del petrolio”, si è creata una “coalizione sociale” che si è recata alle urne – sia che abbia votato sì, sia che abbia scelto il no – soprattutto per mandare un segnale al premier. Questa “sacca” di antirenzismo va temuta o meno?

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Basta fare due conti: se l’intero corpo elettorale è composto da poco più di cinquanta milioni di italiani, a votare ieri ne sono stati grosso modo quindici. Nelle ultime elezioni svoltesi su tutto il territorio nazionale, le Europee del 2014, il Pd dello storico 40% si era invece dovuto “accontentare” di 11.2 milioni di voti, con un’affluenza che in quel caso era stata molto più alta: quasi il 59% degli aventi diritto. Se, insomma, Renzi e il Partito Democratico restano di gran lunga la forza di maggioranza relativa, la situazione cambia quando le opposizioni si coalizzano. Un’eventualità che potrebbe verificarsi tanto al referendum costituzionale di ottobre (quando il quorum non ci sarà), tanto al ballottaggio previsto dall’Italicum. Con questi dati, Renzi rischia di ritrovarsi vittima della sua stessa legge elettorale.

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