Racconta un sopruso e un’ingiustizia verso una minoranza “Lubo” di Giorgio Diritti, ultimo film italiano in concorso alla Mostra di Venezia, dal 9 novembre nei cinema. Il protagonista, interpretato da Franz Rogowski, è un nomade, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di prendere i loro tre figli piccoli, strappati alla famiglia in quanto Jenisch, come da programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada.
Il regista spiega perché ha voluto raccontare questa storia: “Per amore di tutte le persone che sono in difficoltà, che sono emarginate, a cui arriva a un certo punto un’incudine in testa perché qualcuno decide che non sono adeguati a stare al mondo. Ho sentito che era importante rendere evidente come, anche in un Paese democratico, che non è in guerra da non so quanti anni, dove vivono popolazioni, etnie con lingue diverse, poi si possa insinuare un verme, un vulnus, che fa sì che si facciano cose aberranti”.
Una storia che viene dal passato ma purtroppo si ripete, se si pensa ai bambini ucraini strappati alle famiglie e deportati in Russia. E in questo senso per il regista il film prende un significato ancora maggiore: “Se non si semina è difficile che nascano buoni pensieri, anzi rischiano di vincere sempre quelli più negativi, più distruttivi”.