Addio ai furbetti dello smart working. Le nuove regole per gli uffici pubblici

Addio ai furbetti dello smart working. Le nuove regole per gli uffici pubblici
Renato Brunetta
22 marzo 2021

Niente smart working per i “furbetti” che stanno a casa sul divano invece di lavorare. O ancor peggio, per quei dipendenti che spengono addirittura i computer per andare a fare shopping. Inizia a delinearsi il “nuovo” lavoro agile nella pubblica amministrazione. Il ministro Renato Brunetta non vuole più vedere uffici con i cartelli “chiusi per smart working”. E così il titolare della Pubblica amministrazione è a lavoro per dar vita a una normativa che regoli il lavoro agile in Italia. Una norma che si regge su un pilastro principale: niente smart working per quell’ufficio che creerà disservizi ai cittadini. Il che vuol dire che non sarà “imbrigliato in percentuali” ma “deve essere nei contratti e sulla base delle esigenze” per dirla con Brunetta. In sostanza, “se un’azienda ha bisogno del lavoro a distanza se lo organizza, altrimenti no”. Negli ultimi dodici mesi lo smart working è stato prorogato più volte. Fino al prossimo 30 aprile 2021, non ci sarà infatti bisogno di un accordo tra l’ente pubblico e il lavoratore statale per stabilire la modalità del lavoro a domicilio, in quanto resterà in vigore il cosiddetto decreto Dadone che fissa al 50% la quota minima di lavoratori pubblici da impiegare in modalità agile.

Tuttavia, il decreto in questione è legato allo stato di emergenza Coronavirus. Il che vuol dire, che qualora dovesse ulteriormente essere prorogato lo stato di emergenza – cosa più che probabile – il decreto Dadone continuerà a restare in vigore. Intanto, lo smart working per la prima volta entra nel contratto dei dipendenti pubblici. La novità nasce dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, siglato lo scorso 10 marzo dal premier Mario Draghi e Brunetta e da Cgil, Cisl e Uil. La contrattazione tra governo e sindacati sui contratti collettivi nazionali di lavoro del triennio 2019-21, in merito a lavoro agile, è in sostanza regolata dall’art. 2 dello stesso Patto che punta a “una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata”.

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E tra i punti principali che dovranno regolare il lavoro a distanza, il diritto alla disconnessione, fasce di contattabilità, formazione specifica, protezione dei dati personali e permessi e assenze. L’iter della nuova norma, frattanto, fa i primi passi. La commissione tecnica dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile, continua a lavorare sui Piani organizzativi del lavoro agile (Pola). Una sorta di mappa del funzionamento dei vari uffici. Piano che però solo il 33,3% delle amministrazioni statali, su un totale di 162, hanno pubblicato entro la scadenza del 31 gennaio scorso fissata dal “Decreto Rilancio”. Il rapporto dovrebbe arrivare sulla scrivania di Brunetta più o meno a metà aprile. Da qui, il ministro dovrebbe disegnare il nuovo volto dello smart working che “deve essere serio, contrattato, libero, premiato, controllato”. Di certo, su un punto sono d’accordo Brunetta e sindacati: lo smart working deve migliorare l’efficienza, la produttività e la soddisfazione dei cittadini e delle imprese destinatarie dei servizi offerti dalle amministrazioni. Quindi niente spazio a “furbetti” e “fannulloni”.

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