L’ex segretario del Pd, Matteo Renzi, compreso il disappunto degli italiani e spinto anche dalla competizione con il M5S, ha preparato la legge che ha cancellato progressivamente i rimborsi elettorali e consentito unicamente donazioni private. In questo modo ha sbarrato la strada ai carrozzoni dei partiti che, nel frattempo, hanno dovuto ridurre una buona parte delle spese. Il Pd ha chiuso “l’Unità” e ha messo in cassa integrazione i lavoratori, anche Forza Italia ha licenziato parecchi dipendenti, ha cambiato la sede e tagliato i costi per la comunicazione, la Lega ha perso il suo giornale, “La Padania”. Non c’era altra strada. Negli anni della crisi economica, della Rete e della comunicazione social anche la politica doveva adeguarsi. Ma il percorso è ancora lungo. Nella prossima legislatura le forze politiche (a cui spetteranno comunque fondi pubblici per il funzionamento dei loro gruppi parlamentari) potrebbero preparare un piano per “razionalizzare” le spese di Camera e Senato. Le due istituzioni costano un miliardo e mezzo all’anno. Troppo. I parlamentari continuano a maturare il vitalizio (contributivo) dopo 4 anni, 6 mesi e un giorno di mandato, a ottenere ogni mese 6.500 euro netti di rimborsi senza dover presentare le ricevute, a cui si aggiungono 10 mila euro lordi di stipendio (senza contare le indennità aggiuntive) che, per una legge del 1965, sono pure impignorabili. Ecco, tra le tante emergenze che dovrà affrontare il nuovo Parlamento (a cominciare dalla povertà dilagante) c’è anche la riduzione dei costi della politica. Basterebbe poco per realizzarla, soprattutto con una maggioranza (anche se non di governo) che ha criticato i vecchi partiti e puntato a una politica sobria. Un modo per cominciare a ricostruire un rapporto di fiducia con gli italiani.