Un quarto del paese chiamato al voto per le elezioni Regionali, il centrodestra che vince di larga misura in Lazio e in Lombardia, l’affluenza in picchiata, in media sotto il 40%. Ed è proprio l’affluenza a rappresentare per tutti i partiti il cigno nero di questa consultazione elettorale. Un tonfo nella partecipazione al voto che, secondo le prime analisi del voto, ha danneggiato soprattutto lo schieramento del centrosinistra. Molti i dati da tenere in considerazione, ma, forse, nessuno risolutivo.
Innanzitutto, come è stato fatto notare dagli stessi candidati – Pierfrancesco Majorino in primis che ha perso in Lombardia contro il governatore di centrodestra Attilio Fontana che è stato riconfermato – il fatto che il principale partito del centrosinistra, il Pd, sia impegnato nel proprio congresso e abbia un segretario uscente. Poi l’impressione che alcune sfide fossero già vinte e, insieme, le geometrie variabili delle alleanze nel centrosinistra – in Lombardia con i Cinquestelle e nel Lazio contro – non hanno deposto a favore dello schieramento. “Divisi non solo si perde ma non si porta nemmeno la gente a votare. Le due opa sono state bloccate ma questo non può consolarci” ha osservato l’ex ministro Dem Andrea Orlando riferendosi, come ha fatto anche il segretario Enrico Letta alle opa di M5s e Terzo Polo sui Dem.
Guardando ai dati nel Lazio solo un abitante su tre si è recato alle urne: ha votato il 37,2% degli aventi diritto contro il 66,5% del 2018, quando però si disputò un election day (con le Politiche). Ancora più basso, come ha spiegato Lorenzo Pregliasco di Quorum-Youtrend, il dato su Roma città: nella capitale ha votato il 33,1%, poco più di un avente diritto su tre. In Lombardia il dato finale dell’affluenza si è attestato al 41,61% contro il 73,8% di cinque anni fa quando, peraltro, si votò in un solo giorno e contro il 64,6% del 2010 che era stato finora il dato più basso.
Il trend è in atto da tempo, negli ultimi dieci anni l’affluenza alle Regionali è andata calando ma finora non era mai scesa così tanto. I numeri assoluti restituiscono la dimensione del problema astensionismo molto più delle percentuali: nelle regionali 2023 i votanti sono stati 5,1 milioni, mentre erano stati 8,9 milioni nelle precedenti regionali del 2018. Il record negativo in assoluto apparteneva al 2014 quando in Emilia Romagna i votanti per il nuovo presidente della Regione, dopo le dimissioni di Vasco Errani coinvolto in un’inchiesta giudiziaria da cui è stato poi prosciolto, furono appena il 37,7% e fu eletto Stefano Bonaccini.
Guardando i primi flussi elettorali si rileva come il crollo dell’affluenza abbia penalizzato, soprattutto nel Lazio, il centrosinistra. Appena poche settimane fa nessun sondaggio indicava una distanza così larga tra il candidato del centrodestra Francesco Rocca e quello del centrosinistra Alessio D’Amato. E nemmeno se l’accordo con i Cinquestelle fosse andato in porto e i voti raccolti (intorno all’11% secondo rilevazioni ancora non definitive) da Donatella Bianchi, in corsa per il M5s, si fossero riversati su D’Amato il centrosinistra avrebbe potuto vincere la guida della Regione. Fratelli d’Italia, intanto, si conferma il primo partito sia in Lombardia con il 26% (seguito dal Pd oltre al 21% e dalla Lega che veleggia intorno al 17%) che, soprattutto, nel Lazio, dove più di un voto su tre è andato al partito di Giorgia Meloni (33%) sempre seguito dal Pd al 21,5%.
Ma come mai questa disaffezione verso le urne, soprattutto nel campo del centrosinistra? Secondo Romano Prodi, ex premier e fondatore de L’Ulivo, “siamo davanti a due problemi: uno generale, i leader non parlano più con le persone, non le ascoltano e la democrazia è in crisi, perché si sta allontanando dalla gente” e poi “bisogna riconoscere che le Regioni non sono nel cuore delle persone! Anche quando sono ben amministrate. E d’altra parte pochi ne conoscono le competenze” mentre “la politica fatica ad affrontare e risolvere i problemi nostri, di tutti i giorni. Il distacco cresce perché scarseggiano i mediatori”. Di certo le tre opposizioni principali dovranno iniziare a dialogare e magari costruire un percorso comune se vorranno essere competitive con il centrodestra. Per dirla con Giorgio Gori, sindaco Dem di Bergamo, “col maggioritario a turno secco si è competitivi solo unendo tutto il centrosinistra (si, pure i 5S). O lo capite o la destra vincerà ogni volta”.