Ai Musei Capitolini la mostra su Winckelmann nella Roma del 1700

Sono i luoghi dove lo storico gettò le basi dell’archeologia moderna

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“Vivo come un artista e come tale sono accolto nei luoghi dove ai giovani è permesso di studiare, come nel Campidoglio. Qui è il Tesoro delle antichità di Roma e qui ci si può trattenere in tutta libertà dalla mattina alla sera”. È il dicembre del 1755 e con queste parole Johann Joachim Winckelmann, giunto a Roma da appena tre settimane grazie a una borsa di studio, descrive a un amico la sua prima visita al Museo Capitolino, il primo museo pubblico d’Europa. Nei 13 anni successivi, fino alla tragica morte avvenuta a Trieste nel 1768, Winckelmann, nato a Stendal il 9 dicembre del 1717 in una famiglia molto modesta, getta le basi teoriche dell archeologia moderna. La mostra “Il Tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento”, ai Musei Capitolini fino al 22 aprile 2018, celebra gli importanti anniversari del 2017 e del 2018 (300 anni dalla nascita e 250 dalla morte del grande archeologo tedesco). L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e a cura di Eloisa Dodero e Claudio Parisi Presicce, con l organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali, ha illustrato la centralità di questo Museo per Roma e il lavoro fondamentale di Winckelmann: “A partire dal 1733, quando Papa Clemente XII compra la collezione Albani che stava per essere venduta fuori Roma e la dona alla città costruendo il museo capitolino, questa struttura diventa il punto di riferimento di tutti i viaggiatori e tutti gli eruditi che vengono a Roma per apprezzare e conoscere le antichità, quindi il museo diventa un centro di produzione culturale legato alla promozione dello splendore della Roma antica”.[irp]

Winckelmann, giunto nella capitale una ventina d’anni dopo l’apertura del museo, è da subito uno dei grandi protagonisti: “La sua Storia delle arti del disegno presso gli antichi” diventa un punto di riferimento per tutti gli studi successivi, non solo per le interpretazioni e le correzioni di errori che lui fa all’interno del testo ma perché per la prima volta studia le sculture nella relazione fra le fonti e lo stile, e crea una sequenza di stili che diventerà poi il punto di riferimento di tutti gli studi successivi”. Arricchita da una selezione di 124 opere, il Tesoro di Antichità si sviluppa in tre sedi diverse nell ottica di una “mostra diffusa”: le Sale Espositive di Palazzo Caffarelli, le Stanze Terrene di Sinistra del Palazzo Nuovo e le Sale del Palazzo Nuovo. Qui è stato predisposto un percorso di visita speciale, in cui 30 sculture sono lette attraverso gli occhi del grande studioso tedesco. Eloisa Dodero, curatrice della mostra assieme al sovrintendente Presicce, ha spiegato con un esempio quanto il metodo di analisi “inventato” da Winckelmann, di osservazione e analisi delle fonti dell’epoca, fosse rivoluzionario allora: “Siamo di fronte a una delle sculture più iconiche del museo, il Galata morente, noto però nel ‘600 e nella prima metà del ‘700 come ‘gladiatore’. Winckelmann di fronte alla scultura osserva e si chiede, come può essere un gladiatore una scultura che in realtà è greca, è greca perché è bella e non può essere stata creata nella fase della decadenza dell’arte. È il primo a dire, Questa scultura non rappresenta un gladiatore”.[irp]