Nella solennità di un’aula del Senato semivuota, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha preso la parola per affrontare uno dei casi più delicati degli ultimi mesi: l’arresto, il rilascio e l’espulsione in Libia di Ossama Anjiem al Masri, capo della polizia giudiziaria libica e ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra. Una vicenda intricata, che intreccia errori procedurali, questioni di sicurezza nazionale e tensioni politiche, e che ha spinto il governo italiano al centro di un ciclone di polemiche interne e internazionali.
Al Masri, arrestato a Torino il 19 gennaio su mandato della Cpi, è stato rilasciato pochi giorni dopo dalla Corte d’Appello di Roma a causa di un’irregolarità nell’arresto, per poi essere rimpatriato a Tripoli con un volo di Stato. Un’operazione che ha sollevato interrogativi anche fuori dai confini italiani: come ha potuto l’Italia permettere che un uomo accusato di omicidio, tortura e crimini contro l’umanità lasciasse il Paese senza essere consegnato alla giustizia internazionale?
Di fronte alle accuse delle opposizioni, che parlano di una gestione gravemente carente e di una scelta politica sbagliata, Piantedosi ha rivendicato la decisione di rimpatriare Al Masri, descrivendola come un atto necessario per garantire la sicurezza dello Stato.
Nella sua risposta al question time, il ministro Piantedosi ha difeso senza esitazioni la linea adottata dal governo, ricostruendo i passaggi che hanno portato alla scarcerazione e all’espulsione di Al Masri. “L’uomo presentava un profilo di pericolosità sociale,” ha spiegato il titolare del Viminale. “L’espulsione, prevista dall’articolo 13 del Testo unico in materia di immigrazione, era la misura più appropriata per salvaguardare la sicurezza dello Stato e la tutela dell’ordine pubblico”.
Secondo il ministro, la Corte d’Appello di Roma aveva già dichiarato “irrituale” l’arresto di Al Masri, disponendone la scarcerazione. In quel momento, Al Masri era formalmente libero sul territorio italiano. “Vista la sua pericolosità e le informazioni fornite dal mandato della Cpi, ho ritenuto urgente emettere un provvedimento di espulsione, notificato immediatamente al momento del rilascio,” ha aggiunto Piantedosi.
Le spiegazioni del governo, però, non bastano a placare le critiche. Le opposizioni, compatte, attaccano a testa bassa, denunciando una gestione opaca e gravemente inefficace del caso. Il senatore di Avs Peppe De Cristofaro, che ha presentato l’interrogazione parlamentare, ha parlato di una notizia appresa “con sconcerto”, ricordando che Al Masri è ricercato dalla Cpi per crimini gravissimi, già condannato all’ergastolo per omicidio e tortura. “Non si tratta solo di un errore procedurale, ma di una scelta politica precisa” ha accusato De Cristofaro, chiedendo spiegazioni puntuali sui passaggi che hanno portato al rimpatrio del cittadino libico.
Matteo Renzi, leader di Italia Viva, è stato ancora più duro nei confronti del governo: “La premier Meloni ha promesso di dare la caccia ai trafficanti di esseri umani in ogni angolo del mondo. Poi vi capita in casa uno dei più pericolosi e voi cosa fate? Non lo consegnate alla giustizia internazionale, lo riportate in Libia come un eroe, con un volo dei Servizi. È assurdo”.
Sandra Zampa, del Partito Democratico, ha sollevato ulteriori dubbi sulla modalità del trasferimento, chiedendo conto dell’uso di un Falcon della presidenza del Consiglio per rimpatriare Al Masri.
Nel suo intervento, Piantedosi ha cercato di chiarire i passaggi fondamentali della vicenda, ricostruendo le ore che vanno dal mandato di arresto emesso dalla CPI il 18 gennaio alla scarcerazione del 21 gennaio. “Al Masri è stato arrestato e successivamente rilasciato su disposizione della Corte d’Appello di Roma, che ha valutato l’arresto come non conforme alla legge. In quel momento, era libero sul nostro territorio, ma la sua presenza rappresentava un rischio evidente per la sicurezza” ha spiegato il ministro.
La scelta di rimpatriare Al Masri è stata quindi presentata come una misura necessaria e urgente, adottata per evitare che il cittadino libico, già a piede libero, potesse rappresentare una minaccia. “La prossima settimana forniremo un’informativa dettagliata in Parlamento, con tutti i passaggi della vicenda, compresa la tempistica relativa al mandato di cattura internazionale,” ha promesso Piantedosi.
Nel frattempo, la Cpi ha formalmente chiesto spiegazioni sul mancato trasferimento di Al Masri alla giustizia internazionale. Il ritorno del capo della polizia giudiziaria libica a Tripoli, accolto come un eroe, ha ulteriormente alimentato le polemiche, spingendo molti a interrogarsi sulle implicazioni diplomatiche e politiche della vicenda.
Il caso Al Masri non si esaurisce nei confini del dibattito politico italiano: le implicazioni internazionali e il coinvolgimento della Cpi lo rendono una questione particolarmente delicata. La gestione del governo, per ora, sembra aver lasciato più domande che risposte.
Resta da capire se i chiarimenti promessi da Piantedosi saranno sufficienti a placare le critiche e a dissipare i dubbi che ancora avvolgono il rimpatrio di Al Masri. Ma una cosa è certa: questo episodio rappresenta un test cruciale per il governo Meloni, chiamato a dimostrare la propria capacità di muoversi in equilibrio tra esigenze di sicurezza interna, rispetto delle procedure legali e obblighi verso la comunità internazionale.