Un chatbot con una componente di Intelligenza Artificiale – lanciato da Microsoft su Twitter e hackerato in poche ore – disegna un avatar che si interroga sul senso dell’esistenza ed esprime frustrazione per la mancanza di fisicità. In un paesaggio ideato da un processore di videogiochi, personaggi e situazioni si evolvono all’infinito senza alcuna interazione da parte dell’uomo, dando vita a mondi onirici senza tempo.
Tre bracci meccanici si muovono e interagiscono tra loro dando forma a quanto realmente avvenuto nel 2016 nel software di un sito di incontri, quando un hacker sconvolse i chatbot online, che a migliaia cominciarono a comunicare tra loro invece con gli utenti. Low Form, al Maxxi di Roma, è una mostra di ricerca che indaga sul nuovo immaginario che scaturisce dall’incontro fra arte e tecnologie digitali, in particolare l’intelligenza artificiale. Un viaggio, ha spiegato Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi, alla scoperta di come una nuova generazione di artisti entra in relazione con la rivoluzione tecnologica che sta cambiando le nostre vite: “La verità è che la rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale, quindi i meccanismi di selezione delle forme, dei dati sulla rete, stanno cambiando tutto, stanno cambiando il modo con cui lavoriamo, il modo con cui comunichiamo, ma anche il modo in cui gli artisti pensano le forme e pensano l’espressione estetica”.
E se il paragone immediato è con il surrealismo del secolo scorso, che attinse a piene mani dalla psicanalisi, dalla scoperta del subconscio, e dava forme a questa dimensione onirica, oggi una nuova schiera di artisti-Millennnials si sta rapportando alle forme che derivano da una coscienza della macchina e dal modo in cui le macchine producono forme estetiche. Bartolomeo Pietromarchi, direttore di Maxxi Arte e curatore ella mostra, sottolinea come l’indagine si focalizzi non sull’uso degli strumenti tecnologici ma sul cambiamento sociale, culturale, psicologico, indotto nel mondo contemporaneo dall’intelligenza artificiale.
Dunque non solo opere visuali o realtà immersive ma anche sculture, dipinti, opere che fanno presagire quale dimensione dell’immaginario e della visione possa scaturire dall’incontro tra la macchina e l’umano. Un fil rouge, va detto, che lascia una certa sensazione distopica, che porta inevitabilmente a chiedersi se con l’intelligenza artificiale ci sia ancora posto per l’uomo. “Sì – ha ribattuto Pietromarchi -, assolutamente sì, è una trasformazione antropologica, quindi… forse non c’è più spazio per l’uomo come siamo abituati ad immaginarcelo e a ricordarcelo, ma sicuramente siamo di fronte a un’epoca dove c’è un nuovo uomo”. Fino al prossimo 24 febbraio al Museo delle arti del XXI secolo.