Spiritoso, irriverente e cosmopolita. È Arto Tunçboyaciyan, percussionista e vocalist turco armeno, che dagli anni Ottanta vive negli Stati Uniti. Classe 1957, la sua carriera inizia a soli 11 anni, col fratello Onno, scomparso prematuramente. Ha lavorato con leggende del jazz come Chet Baker, Marc Johnson e Al Di Meola. Negli anni Novanta collabora con Serj Tankian, cantante del gruppo musicale statunitense System of a Down. Si può far musica con tutto, anche con una bottiglia vuota, ci dice.
Per lui la musica è un ponte verso una cultura di pace e tolleranza. Lo abbiamo incontrato al Torino Jazz Festival e in una pausa delle prove ci ha raccontato la filosofia che sta alla base della sua musica, una miscela di avant-folk e jazz contemporaneo. “La musica è il colonna sonora della mia vita. Cerco davvero di servire l’umanità. Non nasciamo con una nazionalità o una religione addosso. L’essere umano non nasce come italiano, armeno, americano, siamo tutti nati come esseri umani, siamo noi a creare le razze, creiamo anche gli Dei per trovare delle risposte”, dice rispondendo a una domanda su Trump e i nazionalismi.
A Torino Tunçboyaciyan si è esibito con lo Sfom Quartet: Pietro Ballestrero alla chitarra elettrica acustica, Marco Giovinazzo, alle percussioni, Manuel Pramotton, sax tenore e soprano, e Alessandro Maiorino al contrabbasso. E proprio dall incontro tra Maiorino e Tunçboyaciyan è nato lo spettacolo che si è tenuto alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, una produzione originale del Torino Jazz Festival. Il progetto infatti ha visto la luce nel 2018 dopo uno stage didattico tenuto dal percussionista turco armeno alla Scuola Sfom di Aosta. Una musica che ha stregato 1.200 spettatori.