Cronaca

Al via il processo Regeni: “Otto anni che aspettavamo questo momento”

“Erano oltre 8 anni che aspettavamo questo momento. Finalmente speriamo che questo processo possa partire, sono state sollevate le questioni preliminari che erano già state rigettate in tutte le altre aule e quindi speriamo, dopo la decisione della Corte Costituzionale che rafforza molto la nostra posizione, di poter avere un processo contro chi ha fatto tutto il male del mondo a Giulio”. Così ha detto, in una breve dichiarazione letta davanti ai giornalisti, l’avvocato Alessandra Ballerini, legale di Claudio e Paola Deffendi, genitori di Giulio Regeni, il giovane ricercatore universitario che tra la fine di gennaio ed il febbraio del 2016 venne torturato e ucciso a Il Cairo, in Egitto.

Il processo, oggi, dalla corte d’assise di Roma, è stato rinviato al 18 marzo per l’esame di alcune eccezioni preliminari. “Non è avvenuto niente di diverso da ciò che ci aspettavamo”, ha continuato l’avvocato Ballerini. Nella vicenda sono sotto accusa quattro agenti della National Security egiziana. I difensori d’ufficio hanno sollecitato la nullità del decreto che dispone il giudizio sottolineando come manchi la certezza che gli imputati siano venuti a conoscenza della sentenza della Corte costituzionale che ha permesso il rinvio a giudizio. Nel processo sono parte civile insieme con la famiglia di Giulio, la presidenza del consiglio dei ministri con la rappresentanza dell’avvocatura dello Stato.

 

 

“Abbiamo chiesto di far sapere all’Egitto che sono cambiati i presupposti. La sentenza della Corte costituzionale dice che anche in mancanza di notifica agli imputati in questo specifico caso il processo si può fare. E visto che la sorte degli imputati dipende da un terzo, ossia lo stato egiziano che non mi risulta un paese tendenzialmente democratico, abbiamo prospettato la questione alla corte”. Lo ha detto l’avvocato Tranquillino Sarno, difensore di uno degli agenti egiziani accusati di aver torturato ed ucciso Giulio Regeni. “Si può fare il processo senza dichiarazione di domicilio dell’imputato? Senza un nome preciso, visto che anche le sue generalità cambiano da una pagina all’altra dei verbali? – si è chiesto in sede di discussione il legale – La sua identificazione può esser ritenuta compiuta dal tesserino che è stato trasmesso dalla procura generale del Cairo?”.

Sotto accusa ci sono – si ricorda – il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ha chiesto di respingere le eccezioni dei difensori. “Quel che conta non è la conoscenza delle generalità, ma la possibilità che il detenuto possa essere identificato in sicurezza per l’esecuzione della pena”, ha spiegato il magistrato. In un altro processo – ha ricordato ancora il pubblico ministero – ha spiegato come un detenuto “afgano era stato identificato non con le sue generalità, ma con una fotografia”. “Per il problema di giurisdizione: la questione è già stata dibattuta da tutte le Corti che si sono occupate della tragica vicenda – ha ricordato in aula la Ballerini – Voglio fare presente che il sequestro è avvenuto non in Italia, ma in Egitto dove 3 o 4 persone al giorno vengono fatti sparire. Essere trasportati da un luogo di tortura a un altro è evidente che si tratti di violenza fisica e negarla credo sia quantomeno discutibile”. La prossima udienza è stata fissata per il 18 marzo.

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