Alfano sceglie sì a Mattarella e Ap ora è a rischio rottura

Il capogruppo Sacconi annuncia le dimissioni dall’incarico. In aula Nunzia De Girolamo, Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto non applaudono il nuovo Capo dello Stato. di Francesco Del Vecchio Berlingieri

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di Francesco Del Vecchio Berlingieri

L’elezione alla presidenza della Repubblica di Sergio Mattarella, nome teoricamente gradito alla gran parte dei parlamentari di Alleanza popolare, rischia paradossalmente di rompere la formazione guidata da Angelino Alfano. Chi di metodo ferisce di metodo perisce, si potrebbe dire al ministro dell’Interno. Alfano, dopo l’annuncio della candidatura di Mattarella da parte di Matteo Renzi, ha contestato il metodo seguito dal premier-segretario Pd, contestandogli la unilateralità della decisione sull’ex ministro, presa senza alcuna consultazione con gli alleati di governo.

Da qui la prima decisione – che ha lasciato comunque perplessi molti parlamentari di Ap, ex colleghi ed ex amici di partito, la Dc, del nuovo Capo dello Stato – di votare scheda bianca nelle votazioni, in sintonia con Forza Italia. Una scelta che trovava nel capogruppo al Senato Maurizio Sacconi un ortodosso esecutore.
Ma ecco poi la rivoluzione. Il metodo cambia e dopo l’appello ieri di Renzi Alfano decide che Mattarella ora può essere votato. Una parte dei grandi elettori non capisce ma si adegua e l’assemblea dei parlamentari centristi questa mattina accetta (con quattro astensioni e un voto contrario) il voto a Mattarella.

Ed è qui che cominciano i problemi. Il capogruppo Sacconi annuncia le dimissioni dall’incarico. In aula Nunzia De Girolamo, Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto non applaudono il nuovo Capo dello Stato. Anche se, dall’interno del partito stesso viene chiarito che queste decisioni, questi comportamenti non hanno a che vedere con la persona di Mattarella. La portavoce dimissionaria Barbara Saltamartini (il voto contrario di questa mattina nell’assemblea Ap) addirittura si siede lontana dai banchi del partito, lontana da Alfano.

Sono evidenti quindi le difficoltà della formazione centrista, che molti volevano in grado di smarcarsi sia da Berlusconi che da Renzi in una occasione così importante e più istituzionale che politica come questa. Ma ciò non è accaduto. Ci sono anzi contestazioni, ancora anonime ma comunque significative, di parlamentari di Ap che non hanno gradito alcune dichiarazioni di Alfano questa mattina. In particolare quando il ministro ha sostenuto che il riavvicinamento a Forza Italia, cominciato in queste ore, continuerà anche in chiave di alleanze elettorali.

Non è ancora il caso di parlare di spaccature ma la cronaca dei fatti sembra andare quanto meno nella direzione di una forte sollecitazione ad Alfano affinché cambi il corso che sta seguendo Alleanza popolare. In questo senso può essere letto il comunicato congiunto diffuso ieri sera da undici senatori centristi (Piero Aiello, Fabiola Anitori, Laura Bianconi, Giovanni Bilardi, Federica Chiavaroli, Francesco Colucci, Ulisse di Giacomo, Antonio Gentile, Giuseppe Pagano, Salvatore Torrisi, Guido Viceconte) con il quale veniva appoggiata la candidatura di Mattarella. Certo, sono senatori e l’iniziativa può essere stata interpretata come una sfiducia nell’operato del presidente del loro gruppo Sacconi (che appunto si dimette). Ma è possibile dare al comunicato anche un altro valore (come sostenuto da alcuni) e cioé quello di una velata sfiducia nelle scelte di Alfano, fino a ieri sera arroccato sulla scheda bianca.

Al netto della dimissionaria Saltamartini, delle contestazioni indirette, delle voci di abbandono del gruppo parlamentare o di dimissioni di questo o quel dirigente di Ap la forte sollecitazione che arriva ad Alfano da tutta l’area è quella di fare chiarezza, attraverso (per usare un termine da Prima Repubblica) una immediata verifica politica. Un confronto, ha detto nel pomeriggio De Girolamo, che deve innanzitutto avviarsi in Ncd – l’Udc, l’altro partito che compone Ap, è al momento più defilato e senza particolari fibrillazioni interne – per poi allargarsi ai rapporti con il Pd, l’alleato di governo.