Tutti conoscono i cartelli messicani che inondano di droga gli Stati Uniti. Meno conosciuti sono i cartelli di trafficanti d’armi: la strada è la stessa, ma il percorso è inverso. Dagli Stati Uniti, fucili, pistole ed esplosivi varcano la frontiera per rifornire di piombo gli eserciti al soldo dei narcos. Di questo parla “600 miles” diretto da Gabriel Ripstein e interpretato tra gli altri da Tim Roth e Kristyan Ferrer. Il film è stato presentato un anno fa alla Berlinale e ora esce nei cinema americani. A presentarlo l’attore britannico che veste i panni di un agente della Atf, l’agenzia statunitense che indaga sui reati federali relativi all’uso e al traffico d’armi. “Viviamo nella cultura della pistola, sfortunatamente è così – spiega Roth – Io non ero mai entrato in un negozio di armi, non sapevo niente del flusso di armi dagli Stati Uniti al Messico. E’ stato molto educativo questo lavoro per me”, spiega l’attore. Il suo personaggio è sulle tracce di un piccolo trafficante di armi, ma a causa di un errore è lui a essere catturato. Le 600 miglia del titolo del film sono la distanza del viaggio per consegnare l’agente ai boss messicani. A scortarlo fino a destinazione c’è Rubio, interpretato da Ferrer, un giovane attore messicano che ben conosce le dinamiche raccontate nel film. “C’è un accesso così immediato alle armi che anche un ragazzo appena compiuti 21 anni può comprarsi la sua pistola. E in Messico anche i bambini possono avere delle armi. Ecco perché la violenza nel nostro Paese esplode quasi ogni giorno”, spiega l’attore. “Purtroppo, e questo mi spaventa molto, viviamo in un paese dove essere uomo significa essere uno spacciatore di droga”.