Anche la diseguaglianza dei redditi è cresciuta a tassi sostenuti, con un incremento dell’indice pari al 39% tra il 2008 e il 2013 (da 0,21 nel 2008 a 0,32 nel 2013). Non solo il numero di poveri è aumentato drasticamente, dunque, ma il loro reddito disponibile si è ridotto in termini reali di quasi il 30%, un valore molto più alto rispetto al resto della popolazione. La crisi economica ha, poi, aumentato proporzionalmente di più i poveri nella fascia di età tra i 40 e i 59 anni (con incrementi percentuali di oltre il 70% nella fascia 50-59), mentre le persone già fuori dal mercato del lavoro, tipicamente le persone con più di 70 anni, sono quelle che hanno sofferto meno gli effetti della crisi. Come conseguenza, il rischio di povertà si è modificato a svantaggio delle fasce di età intermedie, che ora presentano dei tassi di povertà sistematicamente più alti rispetto a quelli della popolazione anziana. Il rischio di povertà durante la crisi è peggiorato soprattutto per la categoria dei disoccupati.
Tuttavia, tra questi, la classe di età che ha subito l’aumento relativamente maggiore del numero dei poveri sono i disoccupati con più di 50 anni, il cui numero è più che triplicato nell’arco di 6 anni. Questo dato, combinato con le probabilità di non-reimpiego, secondo l’Inps, “deve far riflettere”: dopo i 55 anni la probabilità media di trovare una nuova occupazione per un disoccupato che beneficia di una indennità di disoccupazione/ ASpI a distanza di due mesi dalla perdita del lavoro è inferiore al 20% e tende a stabilizzarsi intorno al 45% dal decimo mese in poi di disoccupazione. Di conseguenza, quasi un disoccupato su due con più di 55 anni finisce per diventare un disoccupato di lunga durata e, una volta esaurita la disoccupazione ordinaria/ ASpI, per queste famiglie il rischio di povertà non può che, in assenza di altre forme di sostegno al reddito, aumentare a ritmi sostenuti.