Politica

Altissima tensione in Medio Oriente, la tregua spacca Israele. Ministro Difesa lascia

Torna altissima la tensione in Israele ma questa volta a innervosire gli animi non sono solo i razzi sparati da Hamas ma una questione tutta interna: il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, ha annunciato le dimissioni, revocando l’appoggio all’esecutivo del suo partito ultra-nazionalista, Yisrael Beiteinu, e invocando elezioni anticipate, che potrebbero tenersi a marzo, sette mesi prima del previsto. E’ stata una decisione a lungo meditata quella di Lieberman (in mattinata anticipata ai media), che il falco’ del governo Netanyahu ha discusso con i colleghi di partito e infine ha annunciato in conferenza stampa.

Sembra invece che l’ormai ex ministro non ne abbia parlato con il premier, Benjamin Netanyahu, il convitato di pietra verso il quale – senza mai nominarlo – si sono appuntati gli attacchi del falco ultra-nazionalista. Le dimissioni sono infatti diretta conseguenza della decisione del governo di aderire al cessate il fuoco con Hamas e le fazioni palestinesi della Striscia di Gaza, la tregua mediata da Onu ed Egitto. Una “resa al terrorismo”, ha denunciato Lieberman, sottolineando che cosi’ facendo Israele sta “comprando la calma a breve termine a costo di compromettere la sua sicurezza sul lungo periodo”. Insieme a lui, lasciano l’esecutivo tutti i membri del partito Ysrael Beiteinu, lasciando nelle mani di Netanyahu una coalizione di governo debolissima, con un solo voto di maggioranza (61 seggi su 120). Una situazione che potrebbe indurlo a indire elezioni anticipate come chiesto dallo stesso Lieberman, sollecitando una decisione entro domenica prossima.

Tuttavia, un alto funzionario del Likud ha segnalato che il voto non e’ necessariamente la prossima mossa per il governo: “Non c’e’ bisogno di un voto in questo momento, con tali problemi di sicurezza”. Netanyahu intanto ha assunto la guida del dicastero. Lieberman ha spiegato che sulla sua decisione ha pesato, non solo il fatto di aver accettato la tregua offerta dalle milizie dopo 48 ore di scontri, ma anche l’autorizzazione data la settimana scorsa al trasferimento di milioni di dollari di fondi dal Qatar alla Striscia: un fiume di denaro per alleviare le difficili condizioni di vita e ottenere una distensione nell’enclave, con un allentamento delle proteste al confine che da marzo scandiscono le settimane e hanno provocato finora 236 morti palestinesi e un israeliano. “Dobbiamo capire a chi va (il denaro)”, ha tuonato Lieberman. “Va alle famiglie dei terroristi, che attaccano continuamente Israele, i nostri soldati, le nostre famiglie. Stiamo dando ai terroristi denaro in contante a Gaza e questo non puo’ continuare”. Non solo.

Tra le motivazioni del suo gesto, Lieberman ha indicato altri fatti recenti – come il rinvio della demolizione del villaggio beduino di Khan al-Ahmar in Cisgiordania – cosi’ come vecchie rivendicazioni degli ultra-nazionalisti, le scelte dei governi israeliani giudicate troppo morbide, come l’accordo per lo scambio di prigionieri nel 2011, che pure riporto’ a casa il soldato Gilad Shalit, e addirittura il ritiro unilaterale israeliano da Gaza nel 2005. “Non ho cercato ragioni per andarmene, ho tentato di restare un leale membro del governo, anche pagando un costo elettorale”. Ma, ha proseguito, “se fossi rimasto al mio posto, non avrei potuto guardare negli occhi i nostri cittadini nel sud e le famiglie dei soldati morti i cui corpi sono nelle mani di Hamas. Qualsiasi miglioramento umanitario a Gaza dovrebbe essere condizionato al loro ritorno”.

E c’e’ un altro tema che rischia di incendiare ancora di piu’ il dibattito interno alla coalizione di governo: il principale partner del Likud e’ il partito ‘Focolare ebraico’ dell’ultra-nazionalista Naftali Bennett (da sempre in competizione con Lieberman) che, di fronte alle dimissioni, avrebbe gia’ invocato l’incarico alla Difesa, minacciando in caso contrario di lasciare anch’esso il governo insieme ai suoi ministri. Intanto, Hamas esulta e definisce le dimissioni di Lieberman “un’ammissione della sconfitta e dell’incapacita’ (di Israele) di affrontare la resistenza palestinese, una vittoria politica per Gaza che e’ riuscita nella sua risolutezza a provocare un terremoto politico tra le fila dell’occupante”.

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