Ai partecipanti all’esperimento, tutti bendati, è stato chiesto di schiacciare uno dei due pulsanti posizionati sul tavolo che avevano davanti, uno a sinistra uno a destra, nel momento in cui venivano lette delle parole riferite a concetti temporali (“ieri”, “futuro”, “passato”). I partecipanti erano più veloci nel rispondere quando il pulsante del passato era a sinistra e quello del futuro a destra, indipendentemente dalla loro esperienza visiva (vedenti o non vedenti sia acquisiti sia congeniti). Secondo i ricercatori il nostro cervello rappresenta il tempo nello spazio e i circuiti neurocognitivi che usiamo per pensare alle relazioni spaziali (destra, sinistra, avanti, dietro, vicino, lontano) vengono mutuati quando pensiamo al tempo. Il risultato di questo studio potrebbe servire per migliorare l’efficacia dei sistemi di ausilio alle persone non vedenti, come i riconoscitori di ostacoli o le tastiere speciali.
“Sul piano scientifico – spiegano Roberto Bottini e Davide Crepaldi che hanno svolto la ricerca presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca -, lo studio dimostra che la vista non è necessaria per costruire una rappresentazione spaziale implicita del tempo, e che non vedenti congeniti hanno la stessa rappresentazione spaziale del tempo dei vedenti. Il pensiero numerico e temporale sono di fondamentale importanza nella nostra vita quotidiana, e le patologie che coinvolgono la cognizione numerica e temporale sono tra le più invalidanti. Capire come questi pensieri emergono nello sviluppo è di primaria importanza per le scienze cognitive e col nostro studio – concludono – abbiamo fatto un altro piccolo passo verso la risposta ad una domanda che l’uomo si chiede da oltre duemila anni: come facciamo a pensare cose che i nostri sensi non percepiscono direttamente?”.