Strage di Capaci, Mattarella: “La Repubblica seppe reagire con rigore”

Strage di Capaci, Mattarella: “La Repubblica seppe reagire con rigore”
23 maggio 2023

È il giorno delle celebrazioni a Palermo in ricordo della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Oggi ricorre il trentunesimo anniversario da quella strage che cambiò la storia del paese. A Palermo è arrivato il ministro degli Interni Matteo Piantedosi che ha iniziato la giornata nel giardino di Palazzo Jung, in via Lincoln, dove verrà ospitato il museo che sarà dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel palco davanti all’aula bunker, anche 80 baby sindaci con la fascia tricolore provenienti da tutta Italia.

“Il 23 maggio di trentuno anni fa lo stragismo mafioso sferrò contro lo Stato democratico un nuovo attacco feroce e sanguinario. Con Giovanni Falcone persero la vita sua moglie Francesca Morvillo, magistrata di valore, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, che lo tutelavano con impegno”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 31° anniversario della strage di Capaci. “Una strage, quella di Capaci, che proseguì, poche settimane dopo, con un altro devastante attentato, in via D’Amelio a Palermo, nel quale morì Paolo Borsellino, con Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. A questi testimoni della legalità della Repubblica, allo strazio delle loro famiglie, al dolore di chi allora perse un amico, un maestro, un punto di riferimento, sono rivolti i primi pensieri nel giorno della memoria”, prosegue Mattarella.

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“Quegli eventi sono iscritti per sempre nella storia della Repubblica. Si accompagna il senso di vicinanza e riconoscenza verso quanti hanno combattuto la mafia infliggendole sconfitte irrevocabili, dimostrando che liberarsi dal ricatto è possibile, promuovendo una reazione civile che ha consentito alla comunità di ritrovare fiducia. I criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni, di rendere il popolo suddito di un infame potere. La Repubblica seppe reagire con rigore e giustizia”, sottolinea il Capo dello Stato.

Meloni

 Nel 31° anniversario della strage di Capaci, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha deposto questa mattina una corona d’alloro nel Parco intitolato ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel quartiere Montagnola a Roma. Alla cerimonia erano presenti il ministro della Giustizia Nordio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano, il sottosegretario all’Interno Prisco, il presidente della Regione Lazio Rocca, il prefetto di Roma Giannini e il vicesindaco di Roma Scozzese. “Trentuno anni fa ero una quindicenne, sconvolta dall’efferatezza di quella stagione di stragi mafiose – afferma Meloni -. Scelsi di impegnarmi in politica perché lo vidi come lo strumento più utile per fare qualcosa, per non rimanere con le mani in mano. L’ultimo arresto quello di Matteo Messina Denaro è la testimonianza dell’impegno instancabile di tanti uomini e donne delle istituzioni”.

Piantedosi

“L’Italia per combattere la mafia ha consolidato un’esperienza molto importante – afferma Piantedosi -. Partendo proprio dall’insegnamento di personalità come Falcone, i nostri investigatori hanno imparato a inseguire i soldi e i percorsi economici criminali che interessano la mafia, e a preservare i circuiti legali. Credo che è un fenomeno che deve ancora preoccupare ma bisogna anche tranquillizzare i cittadini, anche sul fatto che il nostro Paese da tempo manifesta la capacità di contrastare anche questo modo più insidioso di agire da parte di Cosa nostra”. Infine, non passa certo inosservata l’assenza di Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, magistrata e moglie di Giovanni Falcone, anch’ella uccisa nell’esplosione a Capaci, alle commemorazioni ufficiali in programma davanti all’aula bunker non ci sarà. Di certo è un segnale. 

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L’attentato

Va sottolineato che l’attentato contro Giovanni Falcone si consumò in un contesto d’incapacità e complicità che va ben oltre il livello della mafia, in un quadro, certificato da una sentenza, di “colossale depistaggio”. Il 23 maggio del 1992, Giovanni Falcone, direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia e candidato alla carica di procuratore nazionale antimafia, era appena atterrato all’aeroporto di Punta Raisi con la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato. Alle 17.58, sull’autostrada Trapani-Palermo, nei pressi di Capaci, la tremenda esplosione che li uccise con gli uomini della scorta. Circa 500 chili di tritolo piazzati dentro un canale di scolo esplosero mentre transitavano le Croma. La prima auto blindata – con a bordo i poliziotti Antonino Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo – venne scaraventata oltre la carreggiata opposta di marcia, su un pianoro coperto di ulivi. La seconda Croma, guidata dallo stesso Falcone, si schiantò contro il muro di detriti della profonda voragine aperta dallo scoppio. L’esplosione divorò un centinaio di metri di autostrada.

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