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Anniversario Trattato di Roma, 60 anni di chiacchiere. Ora Ue cerca via del rilancio

A pochi giorni dal 25 marzo – 60esimo anniversario della firma del Trattato di Roma che segnò la nascita della Comunità economica europea – tutto è quasi pronto per il summit in Campidoglio dei capi di Stato e di governo dei Ventisette (l’Ue meno il Regno Unito della Brexit), che mira a celebrare quella ricorrenza e a rilanciare con una dichiarazione solenne il progetto integrazionista, oggi in grave crisi esistenziale, ritornando all’ispirazione delle origini e dei ‘padri fondatori’. Il ‘quasi’ è d’obbligo: la bozza di dichiarazione, una paziente operazione di cesello che ha eliminato il richiamo alla ‘Europa a più velocità’ (‘multi-speed Europe’) avversato dai ‘nuovi’ Stati membri dell’Est, è ancora bloccata a causa di una riserva greca. Atene, spingendo sulla necessità per l’Ue a 27 di mostrarsi unita, con la firma di tutti gli Stati membri sotto la Dichiarazione di Roma, vuole inserire nel testo un paragrafo sociale, che ha proposto nelle ultime ore. Secondo la proposta greca, i Ventisette dovrebbero impegnarsi per ‘una Unione che favorisce il progresso economico e sociale, la coesione e la convergenza, tenendo conto della diversità dei modelli sociale e del ruolo chiave dei partner sociali’, nonché per ‘una Unione che favorisce l’uguaglianza dei sessi, i diritti e le pari opportunità per tutti’. Non sembra un testo particolarmente difficile da accettare per gli altri Stati membri, ma la sua integrazione nella Dichiarazione di Roma sarebbe ‘venduta’ all’opinione pubblica come un successo dal governo greco, in difficoltà con i partner Ue e il Fmi nei negoziati per il suo nuovo di salvataggio finanziario. Questo, almeno, si pensa a Bruxelles.

Della questione si stanno occupando gli ‘sherpa’ dei Ventisette, e oggi ne discuteranno anche i commissari europei, nella riunione settimanale dell’Esecutivo comunitario. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che entro venerdì o sabato tutti sarà risolto e i capi di Stato e di governo firmeranno tutti insieme la Dichiarazione. Più difficile, in realtà, è stato liberarsi dell’ambiguità del concetto delle ‘diverse velocità’, dopo che al summit informale dei Ventisette di Bruxelles, venerdì 10 marzo, i leader dei paesi dell’Est – e in particolare la premier polacca Beata Szydlo – si erano opposti con forza a quello che vedevano come un tentativo di creare due Europe, una di serie A con i paesi ricchi, e una di serie B in cui temevano di essere confinati loro, volenti o nolenti. ‘Noi non accetteremo mai di parlare di di Europa a più velocità… Non accetteremo alcuna azione che possa compromettere l’integrità del mercato unico, dell’area di Schengen e dell’Ue’, aveva avvertito la Szydlo, reduce dalla sconfitta nel suo tentativo di bloccare la rielezione del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. ‘Sottotraccia il tema che attraversa la discussione è che questa sia una scelta dei 4-5 grandi paesi contro gli altri; oppure, peggio, dei paesi occidentali contro quelli del gruppo di Visegrad (i paesi dell’Est, ndr). Non si tratta assolutamente di questo’, aveva spiegato alla fine del vertice del 10 maggio il premier italiano, Paolo Gentiloni, che è incaricato di elaborare la dichiarazione di Roma insieme a Tusk, al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, e al premier maltese Joseph Muscat (Malta ha la presidenza semestrale di turno del Consiglio dei ministri dell’Ue). E lo stesso Juncker aveva riferito di essere rimasto sorpreso per il fatto che l’Europa a più velocità ‘da parte di alcuni colleghi è vista come l’introduzione di una nuova linea di divisione, una nuova cortina di ferro, fra l’Est e l’Ovest dell’Europa. Ma non è questa la nostra intenzione’, aveva assicurato.

Nelle sue prime bozze, la Dichiarazione – dopo aver sottolineato con orgoglio gli straordinari risultati raggiunti dall’Ue in questi 60 anni in termini di pace, democrazia, libertà, stato di diritto, valori comuni – riconfermava la volontà degli Stati membri di impegnarsi ‘a lavorare insieme per promuovere il bene comune, con l’intendimento che alcuni di noi potranno unirsi di più e più velocemente in alcune aree, lasciando la porta aperta agli altri che vorranno raggiungerli più tardi, e preservando l’integrità del mercato unico, dell’area di Schengen, e dell’Ue nel suo complesso. Un’Europa indivisa e indivisibile, che agisce all’unisono quando è possibile, e a velocità e intensità diverse quando è necessario’. Questa formulazione, tuttavia, non era soddisfacente per i paesi dell’Est, perché sembrava contenere sempre l’esecrato concetto di ‘Europa a più velocità’, indicandolo per giunta come obiettivo da realizzare per il rilancio dell’Ue. Alla fine, i paesi dell’Est hanno ottenuto che il testo venisse modificato così: ‘Agiremo insieme, muovendoci nella stessa direzione, con un ritmo (‘pace’) e un’intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato, in linea con i Trattati Ue e lasciando la porta aperta per quelli che vorranno aggiungersi più tardi’. Sembra un bizantinismo, e in parte lo è davvero: si sostituisce il termine ‘velocità’ con ‘ritmo e intensità’. Ma quello che conta davvero, nella nuova formulazione, è il richiamo al rispetto dei Trattati e ai casi precedenti (‘come abbiamo già fatto in passato’) di integrazioni settoriali a cui non hanno partecipati tutti gli Stati membri, fin dall’inizio: come l’Unione monetaria europea e l’area di libera circolazione di Schengen. E’ la risposta alle obiezioni della Polonia e degli altri paesi del gruppo di Visegrad: non introdurremo un meccanismo nuovo per escludervi, non intendiamo cambiare una virgola dei Trattati, ma sottolineare che il fine ultimo è l’unità di tutti i paesi membri e non la loro differenziazione, la convergenza e non la divergenza.

Basta, dunque, con la ‘multi-speed Europe’, termine desueto che andrà in soffitta come il federalismo e gli Stati uniti d’Europa; d’ora in poi si parlerà solo di ‘cooperazioni rafforzate’ o ‘cooperazioni strutturate’, già presenti nei Trattati Ue; i quali prevedono chiaramente la possibilità, per avanguardie più o meno nutrite di Stati membri, di attivare delle integrazioni settoriali senza farsi bloccare dai paesi contrari o non ancora pronti. L’elenco delle cooperazioni rafforzate esistenti o in preparazione, d’altra parte, è già lungo: al brevetto europeo partecipano 26 Stati membri, 17 sono i paesi che hanno sottoscritto le norme per decidere quale legge nazionale si applica in caso di separazione o divorzio di coppie di cittadini Ue di Stati membri diversi; e, sempre per queste coppie, altri 17 paesi stanno cooperando all’elaborazione di regole comuni per stabilire i regimi di proprietà in caso di divorzio o morte di un coniuge. Ci sono poi 10 Stati membri che intendono arrivare a una tassa comune sulle transazioni finanziarie e 17 chiedono di procedere alla creazione della ‘procura europea’. E già si parla di una nuova ‘cooperazione strutturata’ nel campo della Difesa. Intanto, le elezioni olandesi potrebbero aver invertito, o almeno fermato, la tendenza all’aumento dei consensi al populismo anti europeo, oltre che nazionalista, xenofobo e antimondialista. Lo fanno sperare anche i sondaggi in Francia, dove sembra segnare il passo l’ascesa della popolarità di Marine Le Pen in vista delle presidenziali; mentre in Germania sorprende l’avanzata di Martin Schulz, ex presidente del Parlamento europeo e sfidante socialdemocratico della cancelliera Angela Merkel. Per una volta, in questo caso, l’establishment ha di fronte non un populista, ma un sicuro europeista, che potrebbe finalmente smuovere la Germania, incapace di capire i danni provocati all’Europa dall’austerità che ha imposto con la sua leadership ottusa. Quella di Roma potrebbe essere una celebrazione più o meno solenne dei 60 anni di un evento irripetibile, da parte dei tristi epigoni dei leader visionari di allora; ma potrebbe essere anche, davvero, un’occasione per riflettere su tutto quello che rischiamo di perdere, se l’Europa comunitaria non riuscirà a uscire dalla sua crisi esistenziale, a recuperare la legittimità perduta nelle opinioni pubbliche, a ritrovare le ragioni vere per riprendere con forza, convinzione, generosità, il cammino cominciato insieme nel 1957. (foto Ansa)

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redazione