Prodotti italiani, meglio se certificati, a chilometro zero, con un occhio di riguardo a tutto ciò che è “senza” (senza glutine, senza lattosio, senza olio di palma), ma anche a tutto ciò che è “enriched”, ovvero arricchito con componenti nutrizionali considerati un valore aggiunto. Che la pandemia abbia cambiato i consumi alimentari degli italiani è ormai evidente, come anche il fatto che in un momento di incertezze ci si è rivolti a ciò che si conosce meglio. Sono i risultati di una indagine realizzata dall`EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell`Università Cattolica, e in particolare dall`Area food del Centro, che ha sede a Cremona nel Campus di Santa Monica. A sancirlo è anche il saldo della bilancia commerciale che, nel comparto agroalimentare, ha visto nel 2020 un crollo delle importazioni dall’estero: gli italiani, in tempo di Covid-19, hanno preferito il made in Italy e tutto lascia sembrare che questa nuova abitudine di consumo potrebbe diventare duratura.
Si tratta di un vero e proprio monitor continuativo, una ricerca iniziata con una prima survey lanciata a fine febbraio 2020, alla quale hanno fatto seguito altre due rilevazioni (a maggio e settembre) sino alla quarta di poche settimane fa: nel complesso, oltre 4000 persone intervistate e molti dati elaborati e interpretati dal team di psicologi-ricercatori dell`Università Cattolica, in modo che, tra l`altro, si possano iniziare a costruire trend. È emerso che il 70% delle persone acquista spesso o sempre prodotti Dop, Igp o Stg, cioè a qualità certificata europea. Inoltre la metà degli intervistati (52%) ha acquistato cibi a “Km 0”, ovvero prodotti localmente. E gli ultimi dati evidenziano come ai primi posti tra le scelte degli italiani ci siano i prodotti più garantiti, soprattutto dal punto di vista della loro origine. La preferenza per i prodotti locali e il made in Italy è ancora maggiore tra le persone sopraffatte da stati d`ansia e depressivi e da un`aumentata percezione del pericolo del Covid.
“Il cibo ha sempre una funzione psicologica ed emotiva e questo è stato enfatizzato durante la maratona pandemica – spiega ad Askanews Guendalina Graffigna, professore ordinario di Psicologia dei consumi e della salute e direttore dell`EngageMinds HUB – Il driver della salute è sempre stato un criterio prevalente nella scelta degli alimenti, e oggi più che mai. Questo si è unito a una preoccupazione più marcata per la filiera produttiva dell’alimento, la provenienza e a una maggiore attenzione sull’etichettatura”. Ma i consumatori manterranno queste nuove abitudini di consumo nel futuro? “Nei prossimi sei mesi tutto lascia sembrare – spiega Graffigna – che continueranno a orientarsi sul made in Italy, facendo più attenzione all’origine degli alimenti, alla sostenibilità, all’impatto ambientale degli alimenti e della filiera. Queste sono aspettative e intenzioni evidenti. Penso – precisa la docente – che siano abitudini che si stanno radicando e che potrebbero durare nel tempo, insieme a una generale chiusura verso tutto ciò che è esotico, estero, anche in modo irrazionale. La crisi economica sta portando a un senso di autarchia e di impegno patriottico per rilanciare l’economia nazionale”.
In questo senso, potrebbe durare nel tempo anche la riscoperta del cucinare in casa esplosa nel 2020, “perché è diventata un’area di espressione di sé, creatività ed evasione mentale. E’ stato un apprendimento che il consumatore vorrebbe mantenere”. Insomma, a guidare gli acquisti in epoca di Covid-19 pesa molto il fattore psicologico che spinge gli italiani, soprattutto quelli con un più elevato grado di ansia o stati depressivi, a “un atteggiamento di diffidenza” verso ciò che proviene pda fuori per privilegiare i prodotti identificati da un lato come “Made in Italy”, percepiti come più garantiti dal punto di vista sanitario, e dall’altro i prodotti “free-from” ed “enriched”. Una tendenza nei comportamenti dei consumatori ormai consolidata negli ultimi anni, infatti, riguarda i prodotti alimentari per i quali viene dichiarata dal produttore l`assenza di un ingrediente o di un componente nutrizionale particolare (i “senza”) e quelli per i quali, al contrario, si fa leva sull`arricchimento di qualche altro ingrediente o componente nutrizionale (detti anche cibi “arricchiti” o “enriched”).
Da questo punto di vista, l`analisi dell`EngageMinds HUB segnala che nell`ultimo mese ben il 49% del campione abbia acquistato con elevata frequenza prodotti “senza olio di palma”. Un quarto degli italiani ha dichiarato di aver consumato spesso o sempre latte “senza lattosio” e il 19% alimenti “senza glutine”. In costante crescita nel tempo sono i prodotti “arricchiti”, perché se a dicembre sono risultati acquistati molto frequentemente dal 32% degli italiani, nel febbraio 2019 questa quota partiva dal 27% per poi passare al 30% a maggio 2020 e al 31% a settembre. Attenzione, però, alle fake news: “visto che però non tutti i consumatori sono così alfabetizzati sulla filiera produttiva e che i consumi alimentari spesso sono abitudinari, nella scelta – spiega Graffigna – può prevalere una decisione impulsiva, mossa da etichettature o marchi che danno luogo a scorciatoie di pensiero. Oggi il consumatore ha bisogno di rassicurazioni e questo lo porta a fare talvolta più attenzione a etichette e claim sui prodotti che non rappresentano una informazione utile e affidabile, ad esempio il claim senza glutine o senza lattosio su prodotti che già non lo contengono”.
Questi claim “attivano sorta di irrazionale equazione psicologica secondo cui alcuni ingredienti se proposti come ‘eliminabili’ o ‘sostituibili’ allora vengono anche percepiti come ‘nocivi’. E in questo momento storico, in cui sul piano psicologico oggi i consumatori italiani sono particolarmente provati dalla pandemia da COVID19, perché spaventati, traumatizzati, frustrati ed affaticati dalla lunga convivenza con l`emergenza e le conseguenti restrizioni, questi meccanismi emotivi hanno il sopravvento nelle nostre decisioni di consumo. Insomma, quando il consumatore è più emotivamente scombussolato si affida di più a dei meccanismi irrazionali di scelta e valutazione”. La rilevazione dell`EngageMinds HUB mostra infatti che tra coloro che manifestano stati d`ansia o depressivi da pandemia, o la percezione elevata del rischio di contrarre Covid-19, le percentuali di italiani che accordano una forte preferenza ai prodotti “free-from” ed “enriched” salgono molto significativamente.