Il giornalismo di guerra rischia di morire nell’era digitale. Per questo motivo un appello volto alla riforma dei diritti d’autore, dopo che il Parlamento europeo ha respinto una formulazione della riforma stessa che avrebbe dovuto creare “diritti connessi” alla produzione editoriale in vista del nuovo dibattimento che avverrà nell’Europarlamento a settembre, è stato firmato da molti inviati di guerra provenienti da 27 paesi europei.
Primo firmatario dell’appello è il capo dell’ufficio dell’agenzia di stampa France Presse a Baghdad, Sammy Ketz, che a corredo dell’appello stesso ha scritto una sua testimonianza pubblicata oggi dal quotidiano Le Monde. “Siamo concreti. In più di 40 anni di carriera, ho visto il numero di giornalisti sul terreno diminuire in maniera costante, mentre i pericoli non smettevano di crescere. Noi siamo diventati obiettivi e i reportage costano sempre più cari. Finita l’epoca in cui andavo alla guerra in giacca o in maniche di camicia, con un taccuino in tasca, al fianco del fotografo o dei videoperatore, oggi c’è bisogno di giubbotti antiproiettili, di elmetti, di auto blindate, talvolta di guardie del corpo per evitare di essere rapiti, di assicurazioni. Chi paga queste spese? I media, e costa”, racconta Ketz, dopo aver spiegato di aver più volte rischiato di perdetre la vita nella sua copertura di eventi bellici soprattutto in Medio Oriente.
“Ora – continua il giornalista di Afp – i media che producono i contenuti e che inviano i loro giornalisti a rischiare la vita per assicurare un’informazione affidabile, pluralista e completa, per un costo sempre più elevato, non sono coloro che ne traggono i ricavi. Lo fanno invece delle piattaforme che se ne servono senza pagare. E’ come se voi lavoraste ma una terza persona raccogliesse senza vergogna e a sbafo il frutto del vostro lavoro. Se dal punto di vista morale è ingiustificabile, dal punto di vista della democrazia lo è ancora di più”. Ketz sottolinea poi che molti giornalisti “hanno cessato di raccontare perché i loro media hanno chiuso o non possono più pagare”. Giornalisti che avevano condiviso i pericoli e le gioie di quando si arriva all’obiettivo di “raccontare al mondo la ‘verità’ vista con i propri occhi”. E che oggi sono costretti a mettere da parte il taccuino.
I media, continua Ketz, hanno “a lungo subito senza reagire”, concentrandosi più sulle conseguenze che sulle cause. Hanno “licenziato giornalisti”, fino ad arrivare “alla caricatura: un giornale senza giornalisti, o quasi”. Per questo motivo, è necessario che i giornalisti facciano “valere i diritti per poter continuare a informare”, chiedendo che gli incassi commerciali siano condivisi con chi produce i contenuti, che si tratti di media o artisti. In questo consiste la richiesta dei diritti connessi.
Ketz è duro nel puntare il dito contro gli over-the-top, principalmente Google e Facebook, i quali si sono opposti alla riforma europea del diritto d’autore, sostenedo che va a minacciare la gratuità di internet. Ketz dice che questa è una “menzogna”. La gratuità – scrive l’inviato di guerra – “esisterà su internet quando i giganti del net, che captano attualmente i contenuti editoriali gratuitamente e raccolgono gli introiti pubblicitari, retribuiranno i media senza far pagare i consumatori”.
Secondo il capo dell’ufficio di Baghdad dell’Afp non né difficile né impossibile. “Facebook ha realizzato un profitto nel 2017 di 16 miliardi id dollari (13,8 miliardi di euro) e Google di 12,7 miliardi di dollari (10,9 miliardi di euro): bisogna semplicemente che paghino la loro parte. Così i media continueranno a vivere e parteciperanno al pluralismo e alla libertà di stampa ai quali si dichiarano legati”.
In quanto agli europarlamentari che hanno respinto la riforma del diritto d’autore nella precedente riforma del diritto d’autore, Ketz ritiene che siano stati “ingannati da un’attività di lobby menzognera” ma che abbiano “ormai compreso che la gratuità di internet non è in discussione”. Perché “si tratta della difesa della libertà di stampa, perché se i giornali non avranno più giornalisti, non ci sarà più quella libertà alla quale i deputati, quali siano le loro etichette politiche, sono attaccati”.
“Facebook e Google non impiegano alcun giornalista e non producono alcun contenuto editoriale, ma si remunerano con la pubblicità associata ai contenuti che i giornalisti producono”, ha ricordato Ketz. E’ quindi “tempo di reagire”. L’Europarlamento deve “votare massicciamente a favore dell’applicazione dei diritti connessi alle imprese di stampa in modo da tenere in vita la democrazia e uno dei suoi simboli più rimarchevoli: il giornalismo”. askanews