Un rito, ormai ultracentenario, che si ripete e che sempre di più rappresenta una sorta di summa, per quanto programmaticamente provvisoria, di che cosa è l’arte contemporanea. Si è aperta oggi a Venezia la vernice della 56esima Biennale d’arte, un appuntamento che rappresenta, probabilmente, l’evento più importante per il mondo dell’arte internazionale e che si connota per essere anche una sorta di specchio nel quale i protagonisti di questo mondo guardano la realtà, ma anche se stessi. L’edizione 2015 della Biennale d’arte, che apre i battenti un mese prima del solito per muoversi in parallelo all’Expo di Milano, è dedicata al futuro: il curatore Okwui Enwezor, 52enne nigeriano trapiantato negli Stati Uniti, ha scelto il tema All The World’s Futures e su questa ricerca di possibilità e narrazioni alternative ha costruito la mostra principale della Biennale. Una esposizione nella quale si percepisce l’intensità dello sguardo sul caos del mondo e la vastità delle sue possibili rappresentazioni. Una sensazione non dissimile da quella che trasmette il padiglione Italia, dove la monumentalità è forte e il gesto artistico assume una valenza ulteriore. Tra l’Arsenale e i giardini dunque si rinnova il mistero dell’arte, oltre che la mondanità del rito, e il futuro che si prova a indagare appare ancora tutto da scrivere, anche con il contributo di chi la Biennale d’arte verrà solo a visitarla. Venezia in fondo può essere solo una bellissima illusione, ma le nostre vite non lo sono, e qui l’arte cerca di parlare esattamente di queste.