Archeologia, da acque porto Napoli riemerge corvetta borbonica

Archeologia, da acque porto Napoli riemerge corvetta borbonica
23 dicembre 2016

È riemersa dalle acque del porto di Napoli una corvetta borbonica, testimonianza di un periodo travagliato nella storia del Regno delle Due Sicilie, quando re Ferdinando I fu costretto a riparare a Palermo mentre in città, anche grazie alle armate francesi, inizia la rivoluzione repubblicana. Il relitto della Flora, il tre alberi varato nei cantieri all’avanguardia di Castellammare di Stabia dai quali qualche secolo dopo sarebbe uscita anche la gloriosa nave Vespucci, giace ancora sul fondale. A trovarla un’equipe di archeologi sommozzatori che fanno parte dell’Associazione temporanea di imprese che ha vinto un bando di gara dell’Autorità Portuale di Napoli in vista dei lavori di ampliamento del bacino partenopeo. E le indagini di scavo, avvenute con immersioni cominciate a fine novembre e durate fino a meta’ dicembre, hanno permesso di individuare con esattezza ciò che resta della nave affondata dando fuoco alla Santa Barbara per volere del re insieme ad altri cinque vascelli, tutti quelli che erano in rada nel porto di Napoli nel 1799, nel momento in cui la flotta francese veniva in aiuto ai ribelli napoletani.

LA MAPPA La ricerca aveva avuto una prima una fase di acquisizione documenti, soprattutto la pianta trovata ad Armando Carola del Centro Studi subacquei di Napoli che risale al 1828 e che documenta i relitti nel golfo di Napoli con una precisione che è stata confermata poi dalle prospezioni con un Sonar Side Scan e un multibeam utilizzati dall’Ati che si e occupata delle indagini, direttore scientifico Filippo Avilia, con Alessandro Scuotto direttore tecnico e amministratore unico Deep Sea Technology. Tutti i sub che hanno operato avevano il brevetto di operatore tecnico subacqueo. E dai primi rilievi si conferma quello che aveva scritto lo storico e patriota napoletano Pietro Colletta, che cioè le navi furono bruciate e saltarono in aria perché il fuoco fu appiccato consapevolmente alla Santa Barbara.

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COSA FARE Quello che è stato visto, fotografato e ripreso è un relitto con le ordinate bruciate, il rivestimento in rame tipico delle navi borboniche, i fusti dei cannoni ancora posizionati e le loro palle, ma anche i meccanismi quali le pulegge. Non c’è ancora la targa che ne indichi con sicurezza il nome, ma presumibilmente è stata lanciata lontano o distrutta dall’esplosione, ma la perfetta coincidenza con le indicazioni della pianta e quelle del resoconto di Colletta al cardinale Fabrizio Ruffo la identificano con un margine di certezza molto ampio. Tutto intorno scoperte ceramiche di ogni tipo da piatti del 1300 a quelli in uso alla Tirrenia fino a pochi anni fa. Il relitto ha lunghezza di 30 metri e larghezza di 8 metri, misure perfettamente coincidenti con il vascello del 1786. Questa prima campagna di scavo e rilievo è conclusa e adesso bisogna che la Soprintendenza e l’Autorità  portuale valutino cosa fare per proseguire le indagini e valorizzare e tutelare il bene archeologico scoperto. Nell’attesa, lo specchio d’acqua è stato interdetto all’attracco.

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