Armi al Vietnam, fine embargo Usa

Armi al Vietnam, fine embargo Usa
23 maggio 2016

Gli Stati Uniti hanno deciso di revocare l’embargo sulle armi imposto al Vietnam nel 1984. Ad annunciarlo a Hanoi, durante il primo dei tre giorni di visita nel Paese, è stato il presidente Barack Obama, che ha così posto fine a una delle ultime vestigia della Guerra del Vietnam. Gli Stati Uniti hanno a lungo detto che avrebbero rimosso l’embargo solo con un evidente miglioramento del rispetto dei diritti umani in Vietnam. Ma recentemente l’amministrazione, secondo il New York Times, aveva fatto capire che il divieto di vendere le armi all’ex nemico avrebbe potuto essere rimosso come parte della strategia statunitense per affrontare la crescente aggressività della Cina nel Mar cinese meridionale, dove ci sono delle aree, appartenenti ad altri Paesi, rivendicate da Pechino. Obama, terzo presidente statunitense in Vietnam dalla fine della guerra, ha spiegato che gli Stati Uniti hanno rimosso l’embargo “non in base alla Cina o ad altre considerazioni, ma in base al nostro desiderio di completare il lungo processo verso la normalizzazione con il Vietnam”.

Al suo fianco, c’era il presidente vietnamita, Tran Dai Guang (foto). Obama ha poi aggiunto che la rimozione dell’embargo non significa che sarà data ‘carta bianca’ alla vendita di armi al Vietnam – ottavo maggior acquirente al mondo di armi, nel periodo 2011-2015 – ma che Washington “esaminerà cosa sia appropriato e cosa no”, come del resto fa per ogni Paese. Sui diritti umani, Obama ha specificato che “è un’area su cui ci sono ancora delle divergenze”. I sostenitori dei diritti umani, che avevano chiesto al presidente di tenere in sospeso la decisione fino alla liberazione di alcuni importanti oppositori politici, messi in carcere, e alla promessa del Vietnam di porre fine alla violenza con cui la polizia risponde alle manifestazioni pacifiche, hanno condannato la decisione. “Il presidente Obama ha dato al Vietnam un premio che non meritava” ha commentato John Sifton, direttore delle politiche dell’Asia dello Human Rights Watch.

Secondo i funzionari statunitensi interpellati dal New York Times, la rimozione dell’embargo fa parte della strategia per aiutare il Vietnam a difendersi dalla crescente minaccia cinese; nell’area sono in corso da tempo dispute per il controllo del Mar cinese meridionale, dove passano l’equivalente di 5.000 miliardi di dollari in beni e le tensioni sulla libera navigazione sono fortemente aumentate con l’occupazione di alcuni atolli da parte di Pechino. Inoltre, la compagnia petrolifera statale cinese ha installato una piattaforma di trivellazione in acque che sono rivendicate anche da Hanoi. Secondo alcuni esperti, in cambio il Vietnam garantirebbe agli Stati Uniti il ritorno nel porto di Cam Ranh Bay, da dove 40 anni fa partivano i B-52 carichi di bombe. Per gli Stati Uniti, sarebbe molto importante avere un altro appoggio sul Mar cinese meridionale, oltre a quello nelle Filippine. Su questo presunto accordo non ci sono state dichiarazioni; Obama ha invece annunciato nuovi accordi commerciali del valore di oltre 16 miliardi di dollari, che comprendono anche la vendita di 100 aerei della Boeing e 135 motori di Pratt & Whitney a VietJet, una compagnia aerea low-cost. Per Obama è importante che gli Stati Uniti abbiano relazioni migliori con il Vietnam, visto che è uno dei Paesi che cresce maggiormente nel Sud-Est asiatico; lo scorso anno, l’economia del Vietnam è cresciuta del 6,7%, sostenuta in parte dagli investimenti di multinazionali come Samsung e Intel.

Nguyen Quang A, un noto attivista vietnamita e fondatore del Civil Society Forum di Hanoi, ha detto al Wall Street Journal che i due Paesi, ora, condividono molti obiettivi in economia, sicurezza e commercio. Secondo gli economisti, il Vietnam sarebbe tra i principali beneficiari della Trans-Pacific Partnership (Tpp), se l’accordo di libero scambio dovesse entrare in vigore, grazie all’apertura dei mercati giapponese e statunitense ai suoi prodotti di abbigliamento ed elettronica. È però certo che il Congresso statunitense non approverà l’accordo prima delle elezioni di novembre, senza contare che i tre candidati ancora in corso nelle primarie, il repubblicano Donald Trump e i democratici Bernie Sanders e Hillary Clinton, si sono detti contrari all’intesa tra 12 Paesi dell’area del Pacifico. “Rimango fiducioso, perché l’accordo è la cosa giusta da fare” ha commentato Obama.

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