Alla fine è arrivata la “ghigliottina” a fare giustizia dei tentativi di affossamento da parte della Lega Nord in primis (con i suoi eclatanti 85 milioni di emendamenti), ma affiancata anche delle altre forze di opposizione, del ddl Boschi sulle riforme costituzionali. L’aula del Senato concluderà senza dubbio il suo passaggio a Palazzo Madama entro il 13 ottobre. Ma oggi è stata anche la giornata del presidente Pietro Grasso, che ha ritrovato una buona sintonia e apprezzamento da parte delle opposizioni. Ma che soprattutto ha fatto infuriare il governo. La “buona notizia” per maggioranza ed esecutivo è stata infatti ampiamente bilanciata, in senso negativo, dalla doccia fredda giunta con le decisioni del presidente Grasso in ordine alla data del voto finale, fissata come si diceva per il 13 ottobre. Una scadenza che “ruba” una preziosa settimana di tempo al Pd e all’esecutivo, che in cuor suo puntava a chiudere la partita delle riforme al Senato entro l’8 ottobre nel tentativo di portare a casa il provvedimento anche alla Camera entro l’anno. Teatro dello scontro è stata la conferenza dei capigruppo. Per il governo era presente il ministro per le Riforme Boschi che, riferiscono alcuni dei presenti, ha accolto con grande nervosismo l’andamento della discussione, senza nascondere il suo disappunto, scuotendo il capo e sgranando gli occhi più volte. Grasso ha ribadito di voler garantire la possibilità di discutere e di votare gli emendamenti al ddl “almeno” in aula, prendendosi tutto il ragionevole spazio per farlo, sia pure nel rispetto delle dead line indicata a suo tempo dal governo.
E per consentire anche la possibilità di intese politiche ad ampio raggio, non relative soltanto al Pd e alla maggioranza. Quello che Grasso starebbe tentando di realizzare con una paziente tessitura, fedele alla linea da sempre indicata dalla seconda carica dello Stato, è garantire la discussione sul provvedimento e il voto nella misura massima possibile, tanto da incassare il ritiro degli emendamenti dalle opposizioni, col risultato di votare tutto entro il 13 ottobre, senza il bisogno di interventi manu militari (ghigliottina o altro). Ma tanto per capire il clima, riferiscono altre fonti presenti alla riunione, Grasso in capigruppo davanti alle reiterate pressioni dem per la data dell’8 ottobre, sarebbe ad un certo punto anche sbottato con la frase: “Io non faccio il boia della Costituzione”. Una rivendicazione del suo ruolo di terzietà e di ragionevolezza, mentre da parte del Pd si denuncia il fatto che se il presidente del Senato non tiene in considerazione le richieste del partito di maggioranza “chiunque si sentirà legittimato a minacciare ostruzionismi assurdi per vedersi accolte le richieste”. Per la cronaca il “siparietto” tra Grasso e Zanda sarebbe continuato, secondo una fonte, con la protesta del capogruppo dem “beh, non esagerare, con 85 milioni di emendamenti….” a cui Grasso avrebbe replicato: “Ok, ritiro”. Ma la ricostruzione è controversa, non essendo confermata da altri capigruppo presenti alla riunione.
L’atteggiamento di Grasso ha subito fatto registrare l’aperto apprezzamento da parte delle opposizioni, Sel (che dei suoi 62 mila emendamenti ne ha ritirati oltre 60mila, lasciandone solo 1.100) e Movimento 5 Stelle in prima fila, ma che è stato assai gradito anche dalla Lega Nord, che sta portando avanti la sua complessa partita a scacchi col governo e la maggioranza che vede sulla scacchiera forse di più che le sole riforme costituzionali e che potrebbe guardare anche alla vicina legge di stabilità. Per Calderoli la capigruppo ha decretato diversi punti a favore. A fronte del ritiro dei circa 11 milioni di emendamenti al solo art.1 del ddl (ne ha mantenuti solo 19, di stretto merito) e all’art.2, ha messo nel paniere la garanzia di veder votato l’art.1 del provvedimento. Un modo innanzi tutto, ha spiegato l’esponente del Carroccio, per mettere alla prova dei voti segreti l’aula del Senato sul ddl e “sentire la pancia dell’aula”. O come dice un altro esponente della Lega di “verificare e contare quanti sono i franchi sostenitori del governo”, chi nel segreto dell’urna lo sostiene per garantirsi la sopravvivenza. Verificare i numeri effettivi degli schieramenti, insomma. Votando l’art.1 del ddl inoltre la Lega incassa la garanzia – spiega ancora Calderoli – che il testo torni alla Camera col testo modificato “e lì saranno dolori”. Per quanto riguarda al “ghigliottina” poi avanza forti dubbi sulla possibilità che questa si possa effettivamente applicare a un testo di riforma costituzionale, anche se per ora preferisce lasciare in secondo piano questo aspetto e definisce la decisione della capogruppo piuttosto una “programmazione dei lavori” sul ddl.
Calderoli, in ogni caso, si tiene cari gli emendamenti agli altri articoli che valuterà se ritirare “a seconda di come vanno le cose” e “se arriveranno determinate risposte su federalismo fiscale, Titolo V e procedimento legislativo (articoli 116, 117, 119 e articolo 70) ritireremo gli emendamenti, ma se non arrivano non si procede”. Il Pd intanto sta attrezzandosi per parare i colpi. Dopo essersi già preparati a replicare il “sistema Esposito” che ha consentito di portare a casa alla Camera la legge elettorale grazie ad emendamenti premissivi che se approvati fanno decadere a valanga tutti i successivi, il capogruppo Zanda ha avanzato forti dubbi sulla “ricevibilità” degli emendamenti Calderoli sfornati dal malefico algoritmo, in quanto non firmati (ipotesi smentita da Caledroli che assicura di aver sottoscritto con firma digitale tutte le proposte di modifica e di essersi anche assicurato che siano state già stampate sul sito del Senato, regolarmente depositate). La partita procede dunque con estenuante difficoltà. L’attenzione si sposta a settimana prossima, quando mercoledì il presidente Grasso dovrà esprimersi sull’ammissibilità degli emendamenti, a cominciare da quelli all’art.1 e 2. A quel punto si verificherà quanto seguito abbiano gli auspici di Grasso circa la possibilità di non ricorrere alla ghigliottina. Se l’ostruzionismo dovesse persistere, le soluzioni possibili sono molte. Tra queste c’è anche la possibilità che Grasso decida di consentire ad ogni gruppo un tetto massimo di emendamenti ritenuti prioritari e cassare tutti gli altri.