Artrite psoriasica, nuove terapie con anticorpo monoclonale umano
Farmaco biologico che inibisce specifico agente infiammatorio VIDEO
L’artrite psoriasica è una malattia che in Italia colpisce circa 250mila persone: provoca dolore, rigidità, gonfiore delle articolazioni e insorge comunemente tra i 30 e i 50 anni d’età. Poco nota, ha però gravi effetti sulla qualità della vita di chi ne è affetto. “Circa il 30% delle persone affette da psoriasi – ha spiegato ad askanews il professor Gian Domenico Sebastiani dell’ospedale San Camillo e presidente eletto della Società italiana di Reumatologia – può avere l’artrite psoriasica, è una forma di associazione tra due patologie: la psoriasi che è una malattia cutanea e l’artrite, che è una malattia infiammatoria cronica articolare a patogenesi autoimmune. L’artrite psoriasica più correttamente può essere definita come malattia psoriasica sistemica, a indicare che non riguarda soltanto le articolazioni, ma può interessare tutto l’organismo”.
Una patologia complessa, quindi, sulla quale però la ricerca farmaceutica sta lavorando, per aprire nuove prospettive di cura. “La ricerca – ha aggiunto il professore – ha portato a individuare delle citochine pro infiammatorie, ossia delle molecole che causano infiammazione, e sono stati sviluppati dei farmaci contro queste citochine. Uno degli ultimi e più promettenti è il guselkumab che agisce contro l’interleuchina 23, che è una citochina che provoca infiammazione. Il guselkumab è un anticorpo monoclonale completamente umano, il primo anti interleuchina 23”. Gli studi ne hanno evidenziato un’efficacia ad ampio spettro, in tutte le manifestazioni della malattia e oggi viene approvato e rimborsato dal Servizio sanitario nazionale anche per la cura dell’artrite psoriasica. “Questi farmaci – ha concluso Sebastiani – se utilizzati tempestivamente sono in grado di bloccare il danno articolare, con un impatto molto favorevole sulla prognosi funzionale del paziente, che può fare una vita del tutto normale, come se non avesse questa malattia”. Un ulteriore aspetto riguarda la tollerabilità, che rende questa terapia adatta anche a persone con altre malattie e stati di co-morbidità.