“Abbiamo dimostrato come Giove e Saturno si sarebbero potuti formare molto rapidamente se la loro crescita fosse stata dominata da una pioggia di piccoli corpi, dal diametro di circa 10 cm, ma abbiamo anche mostrato – sottolinea Levison – che la formazione di questi piccoli corpi doveva essere sufficientemente lenta da permettere agli embrioni planetari di interagire gravitazionalmente”. In particolare, – prosegue Media Inaf- ciò che i modelli mostrano è che un processo di aggregazione realizzato tramite collisioni fra grossi planetesimi (corpi intermedi dai 100 ai 1.000 km di diametro), che pure avrebbe il vantaggio di portare in tempi brevi alla formazione dei pianeti giganti, finisce per essere troppo breve. E dunque con esiti diversi da quelli cercati. “Se i piccoli corpi si formano troppo in fretta, la formazione planetaria termina con qualche centinaio di terre ricche in ghiaccio”, chiarisce Katherine Kretke, coautrice dello studio. “Gli embrioni planetari hanno bisogno di tempo per rimuovere, tramite interazioni gravitazionali, la maggior parte dei loro rivali. Questo è il motivo per cui, alla fine, nel Sistema solare si sono formati solo due pianeti giganti gassosi”. Con il nuovo modello messo a punto da Levison e colleghi, invece, quelli che le simulazioni disegnano via via sullo schermo sono sistemi solari esterni virtuali popolati da un numero di giganti gassosi variabile da uno a quattro. “Per quanto ne so – osserva Levison – questo è il primo modello che riesce a spiegare la formazione del Sistema solare esterno: due pianeti giganti gassosi, Urano e Nettuno, e la fascia primordiale di Kuiper”.