Il referendum sull’Atac si è rivelato un flop clamoroso. E la reazione degli organizzatori – pronti addirittura a ricorrere al Tar – assomiglia tanto al comportamento di quelli che perdono “e nun ce vonno sta’”.
Eppure coloro che hanno avversato la consultazione avrebbero dovuto dimostrarsi più prudenti nel celebrare il mancato raggiungimento del quorum. Perché i numeri possono essere sempre relativi e, in fondo, tutti i rappresentanti politici eletti nelle istituzioni sono espressione di una esigua minoranza. Persino chi oggi è baciato dal maggior consenso popolare.
Mi spiego meglio. I circa 390mila romani che domenica si sono recati alle urne per decidere il destino dell’azienda di trasporto pubblico della Capitale non sono poi così lontani dai circa 450mila elettori che, due anni fa, votando Virginia Raggi al primo turno delle Comunali decisero di far soffiare sulla Capitale “il vento del cambiamento”. Anche le percentuali, se rapportate al totale degli aventi diritto, non sono molto lontane. Il 16% per il referendum, il 20% per colei che sarebbe diventata sindaca. Che venne “conteggiato” come 36% solo perché a votare ci andò un romano su due o poco più.
Ci governano, insomma, dei populisti senza popolo alle spalle. E fanno opposizione dei partiti incapaci di intercettare i voti in uscita dalla maggioranza e di riportare alle urne anche uno solo degli astenuti. E’ questo il vero nodo, la vera emergenza da affrontare. Assai più della (sfumata) privatizzazione dell’Atac.