Tre continenti sotto attacco, quattro nazioni nel mirino dei jihadisti. Il venerdì di preghiera del Ramadan si tinge di rosso, come il sangue che scorre in Tunisia, Kuwait, Francia e Somalia; e di nero, come la bandiera dello Stato islamico che avrebbe ispirato gli attentati di oggi, almeno nei primi tre Paesi. Un potenziale filo conduttore su cui si stanno concentrando le attenzioni delle autorità di polizia e di intelligence, locali e internazionali. E che richiede una risposta “globale”, ha spiegato il presidente Béji Caid Essebsi. “La Tunisia è ora di fronte a un movimento internazionale e non può rispondere da sola. Come prova il fatto che lo stesso giorno, allo stesso momento, la Francia e il Kuwait sono stati obiettivo di un’operazione parallela”. Sono almeno 37 le vittime degli attacchi al resort di Sousse, in Tunisia. E 25 sono i corpi senza vita ritrovati nella moschea sciita di al-Imam al-Sadeq, a Kuwait City. Un uomo è stato brutalmente decapitato a Saint-Quentin-Fallavier, vicino Lione. Un quadro a cui va aggiunto il sanguinoso attentato compiuto dai jihadisti Shebab contro la missione africana in Somalia: secondo alcuni testimoni, almeno 50 sarebbero le persone uccise. A Sousse un commando armato formato da due uomini, arrivati dal mare con un gommone e nascosti poi tra gli ombrelloni, ha seminato il terrore tra gli ospiti di due hotel molto frequentati. Il resort più colpito è il Riu Imperial Marhaba di Port El Kantaoui, di proprietà spagnola. I jihadisti hanno aperto il fuoco con kalashnikov, tra il fuggi fuggi dei turisti.
Alcuni sono riusciti a barricarsi in albergo, altri sono caduti sotto i colpi dei terroristi. Almeno 37 i morti e 36 i feriti, secondo il bilancio fornito dal governo locale. Uno degli attentatori è stato ucciso dalle forze di sicurezza; un altro, secondo fonti di stampa, sarebbe stato arrestato. Il jihadista ucciso è stato identificato come uno studente originario della regione di Kairuan: “E’ uno studente ed era sconosciuto alle forze di sicurezza”, ha confermato un funzionario di Tunisi. “Pensavamo fossero dei petardi, ma abbiamo capito velocemente quello che stava accadendo”, ha raccontato a Sky News un turista inglese, Gary Pine, presente sulla spiaggia di Sousse dove uomini armati oggi hanno aperto il fuoco, uccidendo almeno 27 persone. “C’è stata una fuga di massa dalla spiaggia – ha aggiunto – mio figlio era in acqua e io e mia moglie gli abbiamo urlato di uscire e lui è corso fuori e ha visto una persona mentre veniva colpita”. I turisti si sono quindi rintanati nelle proprie camere di albergo. Secondo le informazioni fornite dal governo tunisino, le vittime sarebbero di nazionalità britannica, tedesca, belga e francese. Tra le persone uccise anche cittadini tunisini. Secondo la stampa di Dublino, ci sarebbe anche un morto irlandese. L’Unità di crisi della Farnesina sta verificando l’eventuale presenza di nostri connazionali. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha espresso solidarietà a Tunisia, Kuwait e Francia ed ha invocato “unità” contro il terrorismo. Il ministro ha parlato al telefono con il collega tunisino Taieb Baccouche che si stava recando a Sousse, per manifestare amicizia e solidarietà alla Tunisia, ma anche l’intenzione di incontrarsi presto per mettere a punto iniziative comuni contro il terrorismo e per fronteggiare le conseguenze economiche di questo nuovo drammatico evento (il secondo nel Paese dopo l’attentato al museo Bardo di marzo, che ha fatto 22 vittime tra cui quattro italiani).
Gentiloni ha anche parlato con il suo omologo francese Laurent Fabius, con il quale c’è stato un confronto su quanto accaduto in Francia e in Tunisia. Un attacco di probabile matrice jihadista ha avuto luogo anche nel cuore dell’Europa. In uno stabilimento chimico di Saint-Quentin-Fallavier, vicino Lione, un uomo è stato decapitato, altre due sono state ferite a un braccio da due uomini in un azione che il presidente François Hollande ha definito di “matrice terroristica”. La vittima – un imprenditore locale – era il datore di lavoro del presunto attentatore, identificato come Yassin Salhi, che secondo varie fonti di stampa sarebbe di origine nordafricana. Oltre a Salhi, ferito alla testa e arrestato sul luogo dell’attacco, la polizia francese ha fermato anche la moglie del presunto responsabile e una terza persona, sorpresa in atteggiamento “sospetto” nei pressi dello stabilimento chimico ma che al momento non è stata collegata formalmente all’attentato. Salhi ha lanciato la sua automobile – carica di bombole di gas – contro i cancelli dello stabilimento: secondo le autorità francesi l’obbiettivo era quello di provocare un’esplosione all’interno della fabbrica, filiale della statunitense Air Products.
Il corpo decapitato della vittima sarebbe stato ritrovato in uno dei locali della sua azienda di consegne i cui mezzi disponevano dell’autorizzazione per accedere alla Air Products: la testa, a quanto sembra ricoperta di scritte in arabo e con accanto due bandiere dell’Isis, era stata collocata nel cortile dello stabilimento. L’attentatore – che non aveva precedenti penali – era stato schedato nel 2006 dai servizi di sicurezza francese in quanto ritenuto vicino al movimento salafita, ma successivamente la sua sorveglianza era stata interrotta. Le autorità francesi hanno comunque reso noto di aver proclamato il massimo livello di allerta in tutto il dipartimento delle Rhone-Alpes. Negli stessi momenti, intanto, a centinaia di chilometri di distanza, a Kuwait City, si consumava la terza strage di oggi. Un uomo, identificato come Abu Suleiman al-Muwahhid si è fatto saltare in aria nella moschea sciita di al-Imam al-Sadeq. Aveva una cintura esplosiva, ha urlato “Allah è grande”. Poi la strage: almeno 25 le vittime, oltre 200 i feriti. L’attacco è stato rivendicato dalle milizie jihadiste sunnite dello Stato Islamico (Isis). La moschea sarebbe stata scelta come obiettivo perché “diffondeva gli insegnamenti sciiti tra la popolazione sunnita”.