Ci sono alcuni giorni, nelle agende del Quirinale, cerchiati in rosso come cruciali e martedi’ e’ uno di questi. Nell’aula della Camera approda il Rosatellum bis e dai voti che si svolgeranno durante la settimana dipendera’, tra l’altro, la durata di questo ultimo scorcio della legislatura. Dunque il Capo dello Stato, mentre proseguira’ ad attendere ai suoi impegni ufficiali, restera’ sempre comunque informato di quanto va maturando nell’aula di Montecitorio. La situazione e’ abbastanza tesa, il M5s e Mdp sono sulle barricate, insieme a Fdi e a Si e queste fibrillazioni si ripercuotono sul clima in vista del varo della legge di stabilita’ e sui rapporti interni alle diverse aree politiche prima e dopo le elezioni politiche. Un po’ per questo e un po’ per mantenere fede al suo tradizionale ruolo di arbitro, tutti assicurano che Sergio Mattarella non lancera’ nessun appello a favore di una riforma. Innanzitutto perche’ non vuole assolutamente entrare nel merito facendo trapelare una preferenza per un modello piuttosto che per un altro, e poi perche’ non essendosi espresso quando la stragrande maggioranza delle forze politiche sembrava aver raggiunto mesi fa un accordo su un testo sarebbe strano che si esprimesse ora che il testo della riforma divide in due il Parlamento. Certo non sfugge a nessuno che con il varo di questo testo verrebbero meno i rilievi che hanno spinto il presidente della Repubblica a sollecitare i partiti a mettere mano a una revisione dei due sistemi attuali, non omogenei tra loro.
E dunque se la riforma passasse non ci sarebbe piu’ bisogno di quel decreto di cui molti parlano, e sulla cui fattibilita’ si sono gia’ chiesti pareri, per sanare le difformita’ tra Consultellum e Italicum, prima di indire elezioni. Ma a parte l’ovvia osservazione che una legge e’ meglio di nessuna legge, al Colle non si esprime nessun giudizio su quanto sta maturando nelle aule parlamentari. E dunque esaminera’ il testo del Rosatellum bis se e quando gli giungera’ sulla scrivania dopo aver compiuto il suo percorso parlamentare, anche emendativo, fino alla fine dell’iter legislativo. Anche se e’ chiaro a tutti che la stessa durata della legislatura dipendera’ dall’esito dei voti della prossima settimana. Certo, si tratta di uno o due mesi di differenza, poiche’ oltre il 14 marzo non si puo’ andare: scade infatti il 15 marzo il quinto anno dalla prima seduta delle Camere e quello e’ dunque il termine ultimo per lo scioglimento naturale della legislatura. Se si arrivasse a quella data, le elezioni si potrebbero tenere tra 45 e 70 giorni dopo, dunque tra fine aprile e meta’ maggio. Ma per giungere alla data di marzo e’ necessario che ci sia la volonta’ politica della maggioranza e la piena operativita’ delle Camere, magari impegnate proprio nel secondo passaggio al Senato della riforma.
Altrimenti, e’ l’aria che si respira, sarebbe del tutto inutile trascinare stancamente per qualche settimana la legislatura. Se dunque il Rosatellum bis dovesse venire affossato dal Parlamento, e se dopo la legge di stabilita’ la maggioranza non avesse piu’ provvedimenti da varare o fosse lacerata (magari anche dopo il voto in Sicilia), non resterebbe che sciogliere le Camere ai primi di gennaio per votare a meta’ marzo. Ovviamente prima sarebbe necessario varare una legge o un decreto o un regolamento (che pero’ ha il difetto di essere appellabile al Tar) per omogeneizzare le leggi di voto per camera e Senato, ma poi, una volta varata la legge di stabilita’ si potrebbe andare al voto. Ma una cosa da chiarire c’e’, e non tutti ne sono consapevoli tra le forze politiche e gli osservatori: non sara’ il Capo dello Stato a sciogliere le Camere in base a suoi calcoli o ragionamenti: qualunque decisione di anticipare il voto anche se solo di poche settimane, sara’ presa, come recita la Costituzione, “sentiti i presidenti delle Camere”. E cioe’ dopo aver avuto con Pietro Grasso e Laura Boldrini un confronto durante il quale emerga che il Parlamento e’ bloccato e non va avanti. A quel punto il presidente non aprirebbe certo le consultazioni per qualche settimana in piu’ o in meno e potrebbe sciogliere le Camere e indire le elezioni. Dunque martedi’ a Montecitorio si innesca la carica di un timer che ha ben piu’ di un effetto. Mentre mancano pochi giorni anche alla presentazione della legge di stabilita’, sulla quale dal Colle non cessa di tenere acceso il suo radar a distanza: anche se il clima non sembra cosi’ pesante come il fisiologico dibattito politico fa immaginare, e’ ovvio che l’attenzione e’ alta, perche’ l’Italia non si puo’ permettere di ‘steccare’ questa prova alla vigilia del voto e prima di importanti appuntamenti europei.