E’ iniziato il conto alla rovescia: domani, quando in Italia saranno le 19, la Federal Reserve con ogni probabilità annuncerà un rialzo dei tassi di 25 punti base rispetto al livello attuale pari all’1,25-1,5%. La stretta, la prima dell’anno in corso e la sesta dal dicembre 2015, si accompagnerà probabilmente a un ritocco all’insù delle stime economiche sulla scia della riforma fiscale adottata negli Stati Uniti prima di Natale e successivamente la riunione di dicembre della Fed in cui i tassi furono alzati per la terza e ultima volta del 2017. E’ tuttavia un altro dato ad essere particolarmente monitorato: il numero degli aumenti del costo del denaro previsti nel 2018. Da quel numero, calcolato tenendo conto delle attese dei vari membri del braccio di politica monetaria della Fed, dipenderà la reazione dei mercati finanziari di domani. Se la stima mediana dei rialzi dei tassi sarà portata a quattro dalle tre volte calcolate a dicembre, gli investitori concluderanno che la banca centrale americana sta diventando più ‘falco’ di quanto previsto e sperato. Anche per questo la conferenza stampa successiva alla riunione sarà cruciale per eventualmente calmare i mercati. E così il governatore Jerome Powell verrà messo nuovamente alla prova.
Il primo confronto con la stampa del successore di Janet Yellen segue un debutto misto al Congresso Usa: quando a fine febbraio si presentò a Capitol Hill per la prima volta nei panni di numero uno della Fed, Powell provocò un sell-off nell’azionario americano per avere detto che le sue previsioni dell’andamento dell’economia Usa erano migliorate rispetto a dicembre, quando ancora era ‘solo’ membro del board della banca centrale. Quelle parole, riaccesero i timori di quattro aumenti dei tassi nel 2018. Due giorni dopo calmò gli animi di trader e gestori dicendo che i salari orari stanno aumentando ma non a un passo tale da suggerire un repentino aumento dell’inflazione. E infatti, l’inflazione resta al di sotto del target di crescita annua del 2% fissato dall’istituto centrale. I salari sono diventati un market mover dopo la diffusione il 2 febbraio scorso del rapporto sull’occupazione di gennaio, quando salirono su base annua al passo più rapido dal 2009 (+2,9%). Quel balzo fece temere una Fed meno accomodante, motivo per cui febbraio fu un mese in pesante calo per gli indici a Wall Street. Nel rapporto sull’occupazione americana di febbraio, i salari sono aumentati con meno slancio contenendo quelle preoccupazioni.