Aula Senato salva Minzolini. M5S accusa: voto eversivo di scambio
L’ex direttore del Tg1 era stato condannato in via definitiva per peculato a 2 anni e 6 mesi
L’aula del Senato ha respinto la proposta della giunta per le elezioni e le immunità del Senato sul caso della decadenza per incandidabilità sopraggiunta nei confronti del senatore Fi, Augusto Minzolini. Con un voto chiaro: 137 a favore, 94 contrari e 20 astenuti (67 i non partecipanti al voto), ma che ha suscitato non poche perplessità e qualche polemica, l’assemblea ha decretato che Minzolini, ex direttore del Tg1, condannato in via definitiva per peculato a 2 anni e 6 mesi per un uso improprio della carta aziendale che gli era stata concessa personalmente, e quindi sottoposto alla legge severino in tema di incandidabilità, resterà senatore. “Un voto da cui arriva un segnale importante – commenta soddisfatto il capogruppo Fi, Paolo Romani -, di inversione di tendenza rispetto a quanto la stessa aula decretò per Silvio Berlusconi e che deve farci riflettere. I tempi sono maturi per un ripensamento del rapporto tra politica e magistratura”. A cominciare dalla legge Severino. Romani ringrazia il centrodestra, per la sua presa di posizione, ma anche per la solidarietà a Minzolini “di larghi settori del Pd e della maggioranza”. Mentre il Pd ha lasciato libertà di voto, Ap si è dichiarata contraria alla decadenza tout court, rispettando pienamente l’indicazione del gruppo.
Il voto, a cominciare da quello dei democratici, ha invece lasciato “sorpresa e avvilita” la relatrice della giunta sul caso, Doris Lo Moro, oggi esponente di Mdp, ieri ancora nelle fila del Pd. “Mi addolora e mi preoccupa questo voto. In giunta abbiamo votato a maggioranza una proposta favorevole all’incandidabilità. Il Pd ha votato compatto a favore, ci si aspetterebbe che in aula il voto sia conseguente. Ma oggi in aula nel gruppo del Pd c’è stata la confusione più totale. Zanda ha lasciato libertà di coscienza, c’è chi si è allontanato, 19 hanno votato a favore, 24 si sono astenuti…”. A sfogliare negli elenchi delle votazioni tra i favorevoli alla non decadenza di Minzolini figurano i senatori dem Giorgio Tonini, Rosa Maria Di Giorgi, Rosaria Capacchione, mentre tra gli astenuti c’è anche Andrea Marcucci. Chi non ha dubbi e ostenta idee chiarissime è invece il Movimento 5 Stelle che parla apertamente di voto di scambio Fi-Pd tra Lotti e Minzolini. “Oggi il Pd con la sua libertà di coscienza ha ricambiato il favore ricevuto ieri dai renziani da Forza Italia con il salavataggio di Lotti e permesso che Minzolini resti sulla sua poltrona” tuonano Crimi, ma poi anche Di Maio e Di Battista. Giarrusso specifica: “E’ voto di scambio!”. “Oggi la legge Severino non c’è più. E’ un atto eversivo – ha attaccato Di Maio- contro le istituzioni della Repubblica: un partito, il Pd, sancisce che la legge non è uguale per tutti.n Inutile che vi lamentiate delle manifestazioni forti fuori dal Parlamento se qui dentro fate cose di questo genere, atti eversivi”. L’evidenza è che, come dicono ancora i pentastellati, con cui concordano peraltro nella sostanza anche Lo Moro di Mdp e Fi, “il Senato disattende la legge Severino che la stessa assemblea aveva approvato. E’ fuori legge”. Paola Taverna per la verità in conferenza stampa più tardi alza il tiro, ed afferma: “Con questo voto Berlusconi ha tutto il diritto di tornare qua dentro…”. “Le leggi si cambiano in aula, non in questo modo” osserva Lo Moro.
Per il presidente della giunta per le immunità, Dario Stefano (Misto, ex Sel) “è opportuno che in occasione della discussione sulla nuova legge elettorale vengano affrontati con maggiore serenità i rilievi e le criticità evidenziate su ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità, decadenza”. Per quanto riguarda Minzolini, il senatore azzurro ha esposto dettagliatamente in aula tutta la sua vicenda processuale, “il mio calvario, una vicenda kafkiana”, pronto a “bere la cicuta”. Annuncia subito che “mi dimetterò da senatore qualunque sia l’esito della votazione, sicuro di avere la coscienza a posto” e ricorda le molte incongruenze di quanto accaduto. Ricorda di avere ricevuto l’incarico di direttore del TG1 con uno stipendio inferiore al suo predecessore e di avere risarcito l’intera somma contestata prima di ricevere l’avviso di garanzia. Nel processo di primo grado è stato assolto e l’azienda è stata costretta a restituirgli la somma; in appello non è stata considerata l’attenuante del risarcimento e gli è stata inflitta una condanna superiore a quella richiesta dalla pubblica accusa, in misura tale da far scattare la decadenza; infine, del collegio giudicante ha fatto parte un magistrato che ha avuto una lunga carriera politica nello schieramento avversario, Giannicola Sinisi. “Tutto questo ti fa perdere la fiducia nella giustizia. A voi offro però l’occasione di inviare un segnale su un tema delicato che riguarda il nostro sistema giudiziario e la nostra democrazia” ha concluso. Sotto il profilo procedurale va infine ricordato che le dimissioni di un senatore vanno formulate con una lettera al presidente. Dopo un paio di mesi vengono inserite nel calendario dei lavori dell’aula ed è l’assemblea che le deve accogliere con un voto favorevole. Per prassi consolidata la prima volta vengono sempre respinte. Poi devono essere reinserite in calendario e nuovamente votate. E spesso non vengono accolte.