Piu’ tasse e piu’ soldi nelle casse statali che non si sono tradotti, per l’Italia, in un miglioramento dei conti pubblici. Negli ultimi 10 anni, i contribuenti del nostro Paese hanno visto crescere enormemente il peso delle tasse senza riscontrare un andamento virtuoso delle finanze pubbliche: la pressione fiscale era al 39,1% del prodotto interno lordo nel 2005 ed e’ progressivamente salita fino ad attestarsi al 43,5% nel 2015; e contemporaneamente sono aumenti gli incassi per lo Stato, passati dal 42,5% del pil al 47,6%; un incremento di balzelli ed entrate a cui non ha fatto seguito un contenimento del debito, schizzato al 132,7% del pil nel 2015 rispetto al 101,9% del 2005. Impietoso il confronto con altri paesi: in Germania la pressione fiscale e’ passata dal 38,4% al 39,6% del Pil, il debito pubblico dal 66,9% al 71,2%; nella media dell’area euro il peso delle tasse e’ passato dal 39,4% al 41,%; il debito degli Stati dal 62,1% all’83,3%; in Gran Bretagna, il fisco e’ salito dal 35,7% al 34,8% e il ‘rosso’ nei conti dello Stato dal 41,5% all’89,2%; negli Stati Uniti, il prelievo fiscale e’ rimasto sostanzialmente invariato, dal 26,3% al 26,4% con il debito salito dal 66,9% al 113,6% del Pil Usa.
E’ quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa secondo cui in Italia si registra il livello piu’ alto sia per le imposte sui consumi (Iva), con un’aliquota massima al 22%; sia per le imposte personali sul reddito (Irpef), con un’aliquota massima al 48,9%; sia per le imposte sul reddito delle societa’ (Ires), con un’aliquota massima al 31,4%. “La pressione fiscale e’ il principale ostacolo alla crescita economica del nostro Paese”, commenta il vicepresidente di Unimpresa con delega al fisco e ai bilanci, Claudio Pucci. “Un primo passo e’ stato attuato con la legge di stabilita’ per il 2016 con le modifiche introdotte dal precedente governo – spiega Pucci – che ha abolito l’Irap sul costo del lavoro. Tuttavia, continua a permanere l’incidenza di una imposta che non ha nessuna ragione di esistere, se non quella di fare cassa. Bisogna andare avanti, l’Irap va abolita”. Il vicepresidente di Unimpresa spiega, poi, che “tra i problemi e limiti delle imprese italiane c’e’ quello dell’internazionalizzazione, che non vuol dire semplicemente delocalizzare la produzione. Il nostro sistema fiscale ha introdotto una serie di normative antielusione che rappresentano un serio ostacolo per l’imprenditore creando anche qui una distorsione rispetto alle grandi imprese che sono strutturate per far fronte alle presunzioni di tali strumenti di accertamento, magari sfruttando le norme relative alla exit tax, alla esterovestizione e al transfer price”.–