La Commissione europea vara il pacchetto di regole con cui intende finalizzare la riforma di Basilea III sulle banche, ed è subito polemica. L’esecutivo comunitario ha cercato di addolcire la pillola rinviando al 2025 l’avvio del percorso di adeguamento agli accresciuti requisiti patrimoniali, che peraltro viene spalmato sui successivi 5 anni. Ma lo slittamento era con ogni probabilità inevitabile, dovendo in questo momento le banche sostenere il finanziamento all’economia reale, nella delicatissima fase di ripartenza dopo il crollo causato dai lockdown anti Covid, partire adesso con un aumento dei livelli patrimoniali era poco realistico. L’aspetto più delicato del pacchetto – che include una proposta di modifica alla direttiva sui requisiti patrimoniali 36 del 2013, una proposta di modifica al regolamento sui requisiti patrimoniali 575 sempre del 2013 e una proposta per modificare il regolamento nella parte relativa alle risoluzioni – era ovviamente rappresentato dall’ammontare di capitale che le banche saranno chiamate a reperire per rispettare le nuove regole, più stringenti.
Su questo si è subito innescata una diatriba. L’esecutivo comunitario sostiene che l’aumento “non è significativo”. Più nel dettaglio, nelle spiegazioni allegate al pacchetto ha parlato di un 3% a inizio percorso per arrivare a “meno del 9%” alla fine della transizione, nel 2030. Ma già su alcune cifre, interpellato durante la conferenza stampa di presentazione, il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis ha dovuto alzare l’asticella: l’aumento a inizio transizione “dovrebbe essere tra il 3% e il 5%”, ha detto. Secondo le banche, però, sono da rivedere i riferimenti da cui si parte per fare le stime. Le cifre fatte da Bruxelles corrispondono alle carenze da colmare “rispetto ai requisiti patrimoniali minimi ma non riflettono – ha affermato la Federazione bancaria europea – l’ammontare di capitale che la maggior parte delle banche europee dovranno raccogliere per mantenere l’attuale coefficiente del 15%”. E preservare questo livello si è rivelato cruciale “per tenere a galla imprese e famiglie durante la crisi Covid”, ha aggiunto l’associazione.
Un altro punto dolente è rappresentato dai buffer prudenziali addizionali che vengono assegnati alle banche su base nazionale, che si chiede di eliminare. Positiva invece la valutazione sulla differenziazione dei requisiti in base alle dimensioni delle banche stesse, che nelle intenzioni della Commissione Ue dovrebbe mitigare i fardelli regolamentari per quelle più piccole. Anche secondo l’Abi, che ha commentato le proposte dell’Ue con una nota del direttore generale, Giovanni Sabatini, il concreto impatto del pacchetto andrà “valutato attentamente”, tenendo presenti le stesse obiezioni mosse dall’associazione Ue. “La fase di uscita dalla crisi richiede che le banche europee continuino ad essere parte della soluzione nella ripresa economica e nel sostegno all`attuazione dei piani di ripresa e resilienza nazionale. A tal fine – ha aggiunto – un recepimento efficace, bilanciato e proporzionale del quadro di Basilea sulle regole prudenziali è fondamentale”. La Federazione europea ha chiesti di fare chiarezza sulle cifre.
Ci sono poi altri due elementi chiave del pacchetto. Il primo è sulla sostenibilità, intesa in senso molto ampio. La proposta varata richiederà alle banche di “identificare, rivelare e gestire sistematicamente” i rischi Esg – cioè di natura ambientale, sociale e sulla diversità nella composizione della governance – integrandoli sistemi di gestione del rischio. “Questo – dice ancora l’Ue – include stress test test regolari sul clima sia da parte dei vigilanti che delle banche. La vigilanza dovrà assicurare che i rischi Esg siano parte del sistematico processo di revisione”. Il secondo è sulla Vigilanza bancaria. Le proposte prevedono “strumenti più forti” e regole più stringenti sui requisiti di competenze del personale dirigente. Dopo lo scandalo WireCard, si è deciso anche di fornire strumenti che consentano di effettuare la vigilanza sui gruppi fintech. Inoltre il pacchetto interviene sul problema delle filiali aperte in un paese terzo Ue, che al momento ricadono sotto normative e vigilanza nazionali, la cui armonizzazione è solo parziale. Le regole proposte procedono a una ulteriore uniformizzazione in quest’area.