di Maurizio Balistreri
Donald Trump (foto) ci ha provato a smorzare i propri toni, a tratti è sembrato proprio sforzarsi per apparire diverso, leggermente più moderato o aperto al dialogo col Gop come quando ha deciso di appoggiare le rielezioni di John McCain e Paul Ryan al senato americano, “in nome dell’unità del partito”. Il problema (e lo testimoniano i sondaggi nei quali il magnate ha perso terreno nei confronti della rivale democratica, Hillary Clinton) è che quel ruolo di uomo “moderato” vicino all’establishment proprio non gli si addice. Per questo motivo lo scossone che ha dato con l’assunzione come nuovo direttore della sua campagna di Stephen Bannon (foto home), presidente esecutivo del sito conservatore Breitbart News, descritto dal New York Times come un uomo “che ama combattere”, ha un solo e chiaro messaggio: da qui a novembre si andrà avanti con una strategia aggressiva, anche più di quanto non sia apparsa nei mesi passati in cui Trump si è imposto come l’incontrastato leader del partito repubblicano. Proprio per questo motivo Bannon sembra la persona giusta e il profilo tracciato dal quotidiano newyorchese ci aiuta ancora di più a capire perché il tycoon abbia scelto lui, che è un neofita della politica e che addirittura il Daily Beast ha definito “pazzo e non qualificato quanto Trump non lo è nella corsa alla Casa Bianca”. La mossa ha di fatto esautorato l’attuale presidente della campagna, Paul Manafort, che ha fallito nel tentativo di addomesticare Trump che ha ormai deciso di seguire il suo istinto.
Tornando a Bannon, il binomio che compone con Trump potrebbe essere ideale visto che, secondo il New York Times, il suo stile provocatorio e populista “rappresenta, per molti versi, lo specchio” del miliardario newyorchese. Bannon è un ex Goldman Sachs e un regista in erba ancor prima di essere direttore di Breitbart News, giornale online conservatore fondato nel 2007 che con Bannon alla guida è diventato un punto di riferimento per i conservatori d’America. Come sottolinea il Nyt, non si tratta di una pubblicazione che va per il sottile. Recentemente, ad esempio, ha attaccato Obama sostenendo che ha “attratto più odio” verso l’America da parte dei musulmani, ha paragonato il lavoro di Planned Parenthood (nome collettivo delle organizzazioni nazionali che sono membri della IPPF, “Federazione Internazionale genitorialità pianificata”) all’Olocausto, ha definito Bill Kristol, giornalista e analista politico conservatore, “un ebreo rinnegato”, e ha detto alle donne che denunciano molestie sessuali online di “staccare internet e smetterla di mandare a rotoli le connessioni degli uomini”. Solo pochi esempi che sembrano però perfettamente in linea con le uscite che hanno contraddistinto la campagna di Donald Trump.
Questo anche perché, Bannon ha creato “un piccolo ma potente impero mediatico” progettato per sfidare direttamente l’élite culturale e politica degli Stati Uniti “troppo staccata dalla spina dorsale del paese”. Bannon “è un combattente, ama combattere e ama stare nella mischia”, ha dichiarato Andrew Marcus, un veterano intervistato dallo stesso neo direttore della campagna Trump per un documentario su Andrew Breitbart, fondatore del giornale online. C’è da aspettarsi dunque che lo stile pugilistico che ha dato a Trump la nomination repubblicana partendo da “underdog” venga rinvigorito da Bannon che nel 2010, durante un’intervista sul Tea Party Movement (movimento politico schierato a difesa del libero mercato su posizioni conservatrici che lo rendono proprio di un populismo di destra), disse che “la paura è una buona cosa” perché è “la paura che conduce ad agire”. Una frase attuale visto che le diverse paure che attanagliano gli americani, dal terrorismo alle divisioni interne, passando per la politica estera e quella interna senza dimenticare un’economia che non accontenta tutti. Il punto adesso sarà capire come decideranno di agire, se assecondare il pensiero di Trump o far cadere per sempre ogni suo sogno di presidenza.