di Sarina Biraghi*
Quella bambola in mezzo alla strada accanto alla sua mamma-bambina coperta da una stagnola è la foto più emblematica e dolorosa dell’attacco terroristico sulla celebre Promenade des Anglais di Nizza, nella notte dei fuochi d’artificio per il 14 luglio. Una notte di festa, corale e simbolica per lo spirito nazionalistico dei francesi, una festa in cui si celebrano i valori della Rivoluzione Francese così sentita che noi italiani neanche ce ne rendiamo conto, segnata dal sangue di 84 morti di cui almeno 10 bambini, 202 feriti di cui oltre 50 tra la vita e la morte. L’Isis non ha ancora rivendicato la carneficina fatta da Mohamed Lahouaiej Bouhlel, franco-tunisino di 31 anni, residente a Nizza, poi ucciso dalle forze dell’ordine, ma Hollande (il presidente meno amato e meno fortunato di Francia) ha parlato di ennesimo attacco jihadista. La Francia in effetti sta pagando un pesante tributo per aver intrapreso la sua guerra contro il Califfato in Siria, ma dopo il Bataclan, l’aeroporto di Bruxelles, l’aeroporto di Istanbul, dobbiamo convincerci che al-Baghdadi ha dichiarato guerra all’intera Europa, un’Europa che malgrado il terrore non riesce ancora a trovare una strategia comune per affrontarlo e sconfiggerlo. Un’Europa forte e decisa contro le concessioni delle spiagge o la misura dei cetrioli o la qualità del latte o il salvataggio delle banche, ma mai su un esercito o su un’Intelligence contro quel nemico che non si vede ma c’è: il fanatismo islamico. Un fatto è certo, non basta rafforzare le frontiere o mettere un “JE SUIS…”, bisogna reagire contro chi ammazza le persone per uccidere il nostro valore più importante: la libertà. Perciò non possiamo stare a guardare e immaginare di farla franca anche perché non ci sono più luoghi “sensibili” ma, nel mirino, c’è la nostra sensibilità, la nostra storia, la nostra civiltà. Ci sono quei valori, liberal-democratici, laici, ma di matrice cristiana, celebrati ieri, 14 luglio, e che il jihadismo che non sa cosa sia stato l’Illuminismo non può capire non può condividere.
Abbiamo già visto che la mano armata di questa ideologia estremista sono gli islamici di seconda e terza generazione che, diversamente dai loro genitori non si sono integrati e che non si sentono europei, che oggi vivono ancora nelle banlieu e sono poveri. Ma certa sinistra non continui a ripetere che serve l’integrazione, che ci vuole il dialogo. Non si ragiona con un camion lanciato sulla folla e neanche con un kalashnikov che spara sulla fila al check-in… il dialogo, l’accoglienza, l’integrazione non manca nei Paesi europei, mancano forse controlli più serrati, espulsioni più diffuse e manca un’ammissione: il multiculturalismo europeo è fallito. E allora dovremme “armarci” per combattere la nostra battaglia culturale perché l’integrazione è reale non soltanto con i menu a scuola a base di cous-cous o togliendo il crocefisso nelle aule o negli ospedali o dando un alloggio a prezzo popolare, ma pretendendo da chi viene ospitato nei nostri Paesi, il rispetto dei valori di ogni nazione, i valori della nostra Costituzione. Questo può aiutare, noi e gli immigrati, senza creare muri, ghetti o rimpatri impossibili. Sappiamo che gli immigrati non sono tutti jihadisti né fanatici, ma per la sicurezza dobbiamo anche evitare quella burocrazia legata alla “privacy” quando si parla di schedature… Infine, se proprio si vuole estirpare l’Isis e “disarmare” l’esercito jihadista salafita di Abu Bakr al-Baghdadi, di base in quella vasta area che attraversa parte della Siria e dell’Iraq, tronchiamo i rapporti con i Paesi arabi che finanziano il Califfo, mettiamo fine ai business economici e chissà forse ci saranno meno affari ma anche meno stragi e meno terrore. *Condirettore de Il Tempo