Intanto a rafforzare le attese di imminenti decisioni è stato uno dei componenti del Consiglio direttivo genericamente inquadrati tra i sostenitori della linea intransigente, Ewald Nowotny, governatore della banca centrale dell’Austria. Con la persistente bassa inflazione “il pericolo è di scivolare in deflazione”. E il problema per una Banca centrale è che la deflazione è più difficile da combattere dell’inflazione. Specialmente quando si innesca con i tassi di interesse ufficiali già a zero, come attualmente lo sono quelli dell’area euro.
“L’acquisto di titoli di Stato è uno strumento tradizionale della politica della banca centrale”, ha aggiunto in una intervista al quotidiano austriaco Der Standard, segnando così un mutamento di linea rispetto alle precedenti preclusioni che i “falchi” hanno sempre mostrato sui titoli pubblici. In pratica Nowotny sembra essersi schierato con il presidente Mario Draghi, abbandonando la minoranza ostile a misure più energiche capeggiata da Jens Weidmann, presidente della Bundesbank tedesca.
“Personalmente – ha detto ancora Nowotny – credo che sarebbe utile arrivare il prima possibile ad una decisione”. Perché sui mercati circola ogni sorta di speculazione “e una Banca centrale dovrebbe fare chiarezza sulla sua strategia”. In pratica ha lasciato intendere, senza nemmeno tanti giri di parole, che ritiene meglio varare l’eventuale Qe nel Consiglio che si terrà il 22 gennaio. Piuttosto che aspettare la riunione del 5 marzo, che era ritenuta un’altra possibilità dato che ci saranno le previsioni aggiornate su crescita e inflazione e dato che allora sarà possibile valutare meglio gli effetti delle misure già prese.
Ma gli eventi sembrano aver imposto una accelerazione alle decisioni. Specialmente il peggioramento più netto del previsto della debolezza inflattiva. A dicembre, secondo la stima preliminare di Eurostat, il caro vita è finioto a livelli negativi per la prima volta dal 2009, con un meno 0,2 per cento.
I dati definitivi verranno diffusi venerdì 16 gennaio.
Restano comunque da definire diversi aspetti tecnici rilevanti di questo ormai atteso Qe. Dalla sua mole, che secondo diverse ipotesi di stampa dovrebbe aggirarsi sui 500 miliardi di euro (e in quanto tale rischierebbe di risultare deludente), alla tipologia di emissioni pubbliche acquistate. Alla possibilità o meno di una piena condivisione dei rischi sui titoli rilevati, piuttosto che una suddivisione per rispettive nazionalità facendoli ricadere nei bilanci delle Banche centrali di competenza. Tutte questione su cui Draghi dovrà mediare in queste settimane. Ma intanto almeno sembra aver guadagnato un nuovo alleato nel direttorio, almeno per ora.