Berlusconi non molla: Renzi è più De Mita che Moro, Grillo come Hitler

L’INTERVISTA Per il leader di FI il “premier ha scelto la strada dell’arroganza e degli annunci”. Il linguaggio del comico “nasce dai rimasugli della sinistra ‘antisistema’ e l’invidia per chi ha avuto successo nella vita”

berlusconi

“Sento dire spesso che Renzi si ispirerebbe in qualche modo a Forza Italia. Se questo è vero, allora devo dire che l’imitazione non gli è riuscita bene”. Parola di Silvio Berlusconi che in una lunga intervista al Foglio, in occasione dei vent’anni del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, fa un’analisi del quadro politico italiano. Quanto a Grillo Berlusconi rilancia il paragone con il linguaggio di Hitler. “Grillo – spiega – nasce dalla pericolosa sintesi di stati d’animo diversi: i rimasugli della sinistra ‘antisistema’, l’invidia per chi ha avuto successo nella vita e la ricorrente voglia di jacquerie, di rivolta contro tutto e contro tutti, senza un obiettivo chiaro che non sia la distruzione. Da questo cocktail di ideologia, di giustizialismo e di ribellismo sono nati nel Ventesimo secolo movimenti pericolosissimi”. Insomma, aggiunge, il fatto che il guru del Movimento cinque stelle ripeta “molte parole d’ordine di Adolf Hitler, non era affatto un’esagerazione polemica, era una constatazione tecnica”. Renzi, sottolinea Berlusconi, “somiglia più a Ciriaco De Mita che ad Aldo Moro. La sua è la versione 2.0 della vecchia teoria enunciata nel ‘Gattopardo'” e ha scelto “la strada delle battute, dell’arroganza, degli annunci” piuttosto che quella del reale cambiamento della politica.

Se Grillo, secondo Berlusconi, ricorre ad espressioni di Hitler “il fatto che poi i grillini nelle istituzioni si siano rivelati inconcludenti, contraddittori e del tutto incapaci non deve tranquillizzare. Aumenta il pericolo, non lo diminuisce”. Il Patto del Nazareno? Berlusconi spiega di non averlo mai inteso come la prova generale di un’aggregazione di moderati: l’idea “era solo quella di lavorare insieme per modernizzare il paese attraverso riforme condivise. Purtroppo, ci siamo resi conto che ci avevamo creduto solo noi”. Il rimpianto dei suoi venti anni è solo uno: “Io ho una colpa della quale non mi do pace: non sono riuscito a convincere gli italiani a darmi il 51 per cento dei voti”. E il Quirinale? “Non ho mai aspirato al Quirinale – risponde -. Sono consapevole dell’importanza dell’arbitro e ne ho grande rispetto, ma io sono un giocatore in campo, attaccante, non un arbitro”.