Era la notte tra il 4 e il 5 giugno 1968: Robert Fitzgerald Kennedy, RfK, candidato alle primarie democratiche, si trovava all’Ambassador Hotel di Los Angeles per festeggiare con stampa e sostenitori la vittoria delle primarie democratiche presidenziali nello Stato della California. Poco dopo mezzanotte, dopo aver parlato alla folla riunita nel salone interno, il 42enne senatore si avvio’ alla conferenza stampa passando dalle cucine: voleva salutare camerieri e cuochi, i lavoratori invisibili.
Fu li’ che venne raggiunto da quattro colpi d’arma da fuoco, di cui uno gli entro’ nella testa poco sopra l’orecchio destro (e con lui rimasero feriti anche altre cinque persone). La foto del senatore democratico, figura fondamentale del progresso dei diritti civili degli afroamericani, con la testa tenuta sollevata da un giovane cameriere, il 17enne immigrato messicano Juan Romero, fece il giro del mondo. Prima di perdere conoscenza, chiese: “Come stanno gli altri?”. Il senatore democratico, fratello del presidente ucciso, John Fitzgerald Kennedy, resistette ancora in vita quasi 26 ore all’Ospedale del Buon samaritano a Los Angeles, prima di spirare.
A dare la notizia fu il suo consigliere per la stampa, Frank Mankiewicz, con addosso ancora lo stesso completo e la stessa spilletta elettorale che aveva al momento dell’agguato. “Il senatore Robert Francis Kennedy e’ morto alle 1.44 di mattina del 6 giugno 1968”. La versione ufficiale fu che a ucciderlo era stato il colpo di pistola alla tempia esploso da un revolver calibro 22 per mano di Sirhan B. Sirhan, un giovane palestinese con cittadinanza giordana; immediatamente arrestato il palestinese attribuira’ le motivazioni dell’attentato all’appoggio di Kennedy ad Israele. Ma secondo alcune teorie, a sparare fu qualcun’altro. Sirhan B. Sirhan fu condannato alla pena di morte, sentenza poi commutata in ergastolo.