Borrelli e il pool anticorruzione, “duello” con la politica e quel “Resistere”

I 7 milioni di lire dalla mutende di Chiesa. Quando il potere politico si indebolisce, quello giudiziario si allarga

Silvio Berlusconi e Bettino Craxi

Chissa’ se aveva ragione Bettino Craxi, che quando Mario Chiesa si era appena tirato fuori dalle mutande i sette milioni di lire del Trivulzio (per i millennials: 3.500 euro, neanche una gran cosa) gia’ parlava di un “preciso disegno politico” che trovava nella Procura di Milano la sua longa manus. Chissa’ se gli storici un giorno daranno ragione al loro collega Nico Perrone, primo – pur non essendo certo un reazionario – a scrivere una lunga riflessione rivalutativa della Prima Repubblica (“Il segno della Dc”, edizioni Dedalo), in cui adombra un’idea consimile. Magari un giorno scopriremo che invece e’ vero il contrario, che Mani Pulite fu tutt’altro che complotto nazionale o internazionale, e niente longa manus: semmai fu cosa achiropita, cioe’ creato da mano non umana. Ma i fatti, quelli veri e inconfutabili, stanno li’ a dimostrare che il pool anticorruzione di Francesco Saverio Borrelli fece venir giu’ un sistema politico che durava da quarant’anni se non piu’, e sembrava immarcescibile. Ugualmente ben poco ando’ d’accordo con quel che venne poi.

Insomma, fu la causa primigenia della lunga stagione di scontri e contrasti tra magistratura e politica, la seconda indebolita rispetto alla prima anche se trovava – di quando in quando – il suo Uomo della Provvidenza. L’inchiesta di Tangentopoli, il pool di Mani Pulite che ne fu la massima espressione, e Francesco Saverio Borrelli che del poll fu padre e signore al tempo stesso, ebbero rapporti sempre molto complessi con la politica. Non poteva essere altrimenti, e non solo perche’ fu la politica il loro principale obiettivo (quando improvvidamente qualcuno confido’ al Times di Londra che si sarebbe passati alla burocrazia di livello medio, improvvisamente scemo’ il consenso dell’italiano medio). Il fatto e’ che l’equilibrio tra i poteri, e quello tra i poteri e le istituzioni, aborre il vuoto. Se il potere politico si indebolisce, il potere giudiziario si allarga. Piaccia o non piaccia, e’ legge di natura. Per quanto riguarda la figura di Francesco Saverio Borrelli, ci si ricorda non a caso di quella sorta di ultimatum che lancio’ agli aspiranti parlamentari che concorrevano per le elezioni legislative del 1994: “Se hanno qualche scheletro nell’armadio, lo dicano prima che lo si trovi noi”.

Non esattamente una dichiarazione di fiducia, cui fece seguito l’invio delle forze dell’ordine nelle sedi della neonata Forza Italia a sequestrare l’elenco dei candidati berlusconiani. I quali, a dispetto di una mossa cosi’ inutile (non c’e’ nulla di piu’ pubblico di una lista elettorale) finirono in gran parte eletti e trionfatori. Si’, perche’ la politica si e’ presa piu’ di una volta la rivincita sul campo, a dimostrazione che il giudice propone, l’elettore dispone. Quanto ai nomi con cui Borrelli ebbe a che fare, ne sceglieremo tra tutti tre, perche’ a diverso titolo esplicativi. Si tratta di Bettino Craxi, Oscar Luigi Scalfaro e – naturalmente – Silvio Berlusconi. Del primo e’ presto detto: da dominus di Milano e non solo, reagi’ fin dall’inizio da par suo. Con eccesso di coraggio, scrisse in quei giorni Indro Montanelli; a tal punto da sembrare, piu’ che coraggioso, arrogante. Piou’ che coraggioso o arrogante, pero’, era impreparato: nessuno avrebbe mai immaginato l’arrivo di una bufera come quella di Tangentopoli, e lui ne fu travolto, se non subito, abbastanza rapidamente. Diverso il discorso per Oscar Luigi Scalfaro. Arrivato al Quirinale anche con i voti di Craxi, sotto la spinta dell’attentato di Capaci, Scalfaro ebbe un rapporto con Borrelli piu’ complesso dell’immaginabile.

A dispetto di Craxi, nomino’ presidente del Consiglio Giuliano Amato e gli mise accanto un altro fine giurista chiamato Giovanni Conso, che intui’ fino in fondo le ricadute politiche di Tangentopoli. Fu cosi’ che vide la luce il Decreto del Colpo di Spugna. Era il 5 marzo 1993 e da Palazzo Chigi usci’ nero su bianco la seguente proposta: depenalizzare il reato di finanziamento illecito dei partiti. Una norma che, se applicata, avrebbe derubricato tutti i reati contestati dalla Procura di Milano nei confronti dei protagonisti delle inchieste sulla corruzione. Scalfaro, fatto senza precedenti nella storia repubblicana, si rifiuto’ di controfirmare il decreto per manifesta incostituzionalita’ (anni dopo fece sapere che non avrebbe mai concesso l’amnistia ai condannati di Tangentopoli). Giorgio Forattini lo ritrasse il giorno dopo vestito da ayatollah, mentre con la scimitarra nella sinistra si tagliava la mano destra che stava per firmare il decreto. Questo non vuol dire che il Quirinale fosse prono alle richieste della Procura. Ancor prima di questo episodio Scalfaro aveva inviato, a modo suo, un messaggio pubblico al Procuratore. Era il 2 febbraio, e lui si trovava a Pavia.

“La giustizia non e’ solo una meccanica applicazione delle regole”, disse per poi aggiungere: “A me lo insegno’, quando facevo il magistrato, Sua Eccellenza Borrelli, che allora operava a Torino”. A scanso di equivoci, preciso’ che del genitore di Francesco Saverio si trattava. Figlio, rammenta tuo padre. Il figlio non rammento’ poi molto, se Scalfaro nel 1997, nel suo discorso di fine anno, non risparmio’ una critica feroce ai magistrati: “Il tintinnar di manette in faccia a uno che viene interrogato da qualche collaboratore, questo e’ un sistema abietto. Anche chi e’ imputato delle cose peggiori ha diritto al rispetto”. E dire che quando Scalfaro era stato tirato in mezzo dalla pubblicazione di una presunta intercettazione compromettente (una storia di interventi su Palazzo Koch per aiutare i vertici della Banca Popolare di Novara) era stato pronto e decisivo l’intervento di Borrelli, che aveva smentito tutto: l’esistenza della bobina e del suo contenuto.

Ma il 1997 era gia’ un’era diversa: gli anni eroici dell’inchiesta di Mani Pulite erano gia’ passati e il pool lavorava si’ a pieno regime, ma in un contesto ben diverso. Anche se al governo sedeva, quell’anno, un centrosinistra a decisa trazione prodiana, l’Italia aveva gia’ conosciuto la sua prima fase berlusconiana, e la cosa non era rimasta senza conseguenze. Berlusconi era arrivato alla politica con lo stigma del protetto di Craxi nella Milano da bere. Un obiettivo naturale. Quando poi scese in campo, lo fu ancora di piu’, perche’ giudici e avversari videro nella sua scelta il disperato tentativo di salvare l’azienda e la liberta’ personale. Inizio’ un braccio di ferro mai veramente finito, nemmeno con la messa a riposo di Borrelli per raggiunti limiti di eta’. Nel luglio 1993, pochi mesi dopo la vittoria di Forza Italia alle politiche, il ministro della Giustizia, Paolo Biondi, emano’ un decreto che prevedeva gli arresti domiciliari per i crimini di corruzione. In pratica, fine della carcerazione preventiva: quella stessa misura il cui uso da parte del pool era giudicato eccessivo e volto a strappare la confessione agli accusati. Di Pietro e gli altri giudici del pool si presentarono di fronte alle telecamere (cosa mai avvenuta prima) a pronunciare un Obbedisco che piu’ polemico non si poteva.

Applicheremo la norma – dissero in sostanza – ma se le cose stanno cosi’ chiediamo il trasferimento. Ad irritare il loro procuratore capo. Oltre alla sostanza dei fatti, anche la scelta dei tempi. Il decreto fu emanato in un giorno di luglio proprio mentre l’Italia batteva la Bulgaria ai Mondiali degli Usa e passava in finale con il Brasile. Borrelli disse chiaramente che non si trattava di una scelta casuale. Il decreto alla fine fu ritirato. Quanto all’Italia, perse in finale ai rigori grazie ad uno svarione di Baggio. Berlusconi dovette annullare i festeggiamenti che aveva programmato con cura, pronto a sentire nelle sue orecchie la musica di un popolo unito che, indipendentemente dal credo politico, scendeva in piazza al grido di Forza Italia. Procura 1, Cavaliere 0. Ma il secondo incontro sarebbe stato solo uno stentato pareggio. Nel novembre successivo, infatti, un nuovo filone di inchiesta pare puntare dritto al Presidente del Consiglio, che si trova impegnato a Napoli in un vertice dell’Onu dedicato alla lotta alla criminalita’. Succede che gli si presenta in albergo un colonnello dei carabinieri con un invito a comparire firmato da Francesco Saverio Borrelli. Proprio mentre lui, beato per la presenza di centinaia di giornalisti di tutto il mondo, al mondo parla di cosa fare per riportare la giustizia in mezzo agli uomini.