Deposizione fiume per Vincenzo Ricciardi, il funzionario di polizia componente del pool che indago’ sulla strage di via d’Amelio. Ricciardi, indagato insieme ad altri due poliziotti per il depistaggio e la cui posizione e’ stata archiviata, ha deposto davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, nell’ambito del ‘Borsellino quater’. Il poliziotto, applicato alla Squadra Mobile di Palermo, nel controesame condotto dal collegio difensivo, ha sottolineato che a Palermo si lavorava solo ed esclusivamente per la strage. L’indagine parti’ da un’intercettazione telefonica fra Pietrina Valenti, proprietaria della 126 utilizzata come autobomba e la cognata ma non venivano tralasciate altre ipotesi investigative. Poi, il 5 settembre ’92, l’arresto di Salvatore Candura per violenza sessuale. E l’inizio della fase del depistaggio. “La notte dell’arresto, Candura inizio’ a piangere e incomincio’ a dire “non li ho uccisi io”. Abbiamo avuto l’impressione che volesse dire qualcosa ma aveva paura”. Dopo il suo arresto, si autoaccuso’ del furto della 126. “Candura – ha aggiunto – dava segni di insofferenza, sia perche’ la moglie voleva lasciarlo, sia perche’ chiedeva i soldi che Arnaldo La Barbera e un magistrato gli avevano promesso se avesse collaborato con la giustizia. Il mio compito era quello di tranquillizzarlo perche’ il ministero teneva particolarmente a lui”.
Alla sbarra, i capimafia Vittorio Tutino e Salvo Madonia e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta. Ricciardi ha poi detto che uno dei primi magistrati a nutrire dubbi sull’attendibilita’ di Vincenzo Scarantino, fu Ilda Boccassini, componente all’epoca del pool di magistrati che indagava sull’attentato. “Scarantino – ha detto il poliziotto – decise di collaborare dopo l’interrogatorio al carcere di Pianosa. Ovviamente la tutela gli venne assegnata perche’ lo ritenevamo molto attendibile. A deciderlo fu il Gip su proposta di La Barbera. La Boccassini nutriva qualche perplessita’ ma non faceva emergere le sue reazioni, le teneva per se’, era una sfinge. Poco dopo quasi tutti concordammo che Scarantino era poco credibile. Le mie perplessita’ le ho manifestate al mio dirigente. Molte volte non era preciso. Voleva dire una cosa e ne diceva un’altra. Voleva tornare in carcere, si sentiva trascurato”. Durante la deposizione di Ricciardi, e’ riemerso il dato dell’assenza nell’inchiesta condotta sin dal ’92, di molti verbali.
Candura, ha proseguito Ricciardi, “non e’ mai stato maltrattato anche se lui ha sempre sostenuto il contrario. Per noi scoprire la verita’ era diventata una ragione di vita”. Durante il controesame del collegio difensivo, il teste, ha anche riferito che il pool “non aveva sospetti sulla sua attendibilita’ anche perche’ Candura non ha mai detto non c’entro nulla con questa faccenda. Pur avendo diversi precedenti penali, non era un uomo d’onore”. A proposito invece di Vincenzo Scarantino “era ritenuto un personaggio notevole dagli altri colleghi che si occupavano di criminalita’. Poi ammise di essere uomo d’onore”. Il funzionario di polizia, ha altresi’ sottolineato di nutrire delle perplessita’ sulla collaborazione di Scarantino: “Non mi piaceva, non mi era simpatico, non volevo avere niente a che fare con lui”. “Non sapevo nemmeno che faccia avesse Salvatore Candura”, ha detto invece Mario Bo, funzionario di polizia e componente del pool che indago’ sulle stragi di via D’Amelio e Capaci.
Anche lui indagato per il depistaggio, la sua posizione e’ stata archiviata. Rispondendo alle domande del Pm, Stefano Luciani, il teste ha detto che vide per la prima volta il falso collaboratore di giustizia intorno al ’98, quando durante un processo, venne portato nel corso di una pausa, nell’ufficio in cui lui svolgeva servizio. A proposito delle indagini, ha detto che venne elaborato un “rapportone che conteneva sostanzialmente le dichiarazioni di Candura e il teorema di Buscetta”. Bo ha aggiunto che “dal ’94 Arnaldo La Barbera diventa questore e da quel momento in poi non ha piu’ a che fare con le indagini sulle stragi”. Nel ’93, inoltre, Vincenzo Scarantino, ha spiegato, “mi confesso’ di essere estraneo alla strage di via d’Amelio. Io scrissi una relazione di servizio che presumo aver consegnato a La Barbera ma di quella relazione si sono perse le tracce”. Scarantino, dopo aver iniziato a collaborare con la giustizia “venne affidato al gruppo Falcone – Borsellino. Inizialmente lo gestiva Arnardo la Barbera, all’epoca capo della Squadra Mobile di Palermo. Io me ne occupai dal dicembre 94 dopo che Ricciardi ando’ via da Palermo”. A proposito invece di Francesco Andriotta, imputato in questo processo per calunnia, il poliziotto ha sottolineato di non avergli mai passato appunti o consegnato soldi. Il processo riprendera’ domani, alle 10, al Palazzo di Giustizia di Caltanissetta, per il controesame.