La rotta balcanica non si è mai chiusa. L’accordo raggiunto dall’Unione europea con la Turchia nel 2016 ha ridotto i numeri, rispetto al milione di migranti registrato nel 2015, ma gli arrivi sono stati costanti e si sono intensificati durante la scorsa estate, in particolare in Bosnia, diventato il principale punto di transito per quanti vogliono raggiungere l’Europa dopo la chiusura dei confini da parte degli altri paesi della regione.
Dall’inizio del 2018, stando alle stime della Croce rossa internazionale, almeno 12.990 migranti sono entrati in Bosnia, di cui circa 4.000 sono oggi concentrati nelle città di Bihac e Velika Kladusha, nel Cantone Una-Suna, nel Nord-Ovest del Paese, al confine con la Croazia. “Ci sono migliaia di persone costrette a vivere all’aperto, in un Paese dove a breve le temperature scenderanno sotto lo zero”, ha raccontato ad askanews Giacomo Anastasi, direttore del Centro Mediterraneo di studi e formazione Giorgio La Pira, rientrato da poco da una visita in Bosnia nel corso della quale ha incontrato autorità e associazioni per “capire se possiamo dare un contributo grazie all’esperienza maturata in Sicilia e in Calabria, in particolare con i minori non accompagnati”.
“Adesso l’emergenza è l’inverno – ha sottolineato – siamo in una zona dove le temperature vanno sotto zero per quattro, cinque mesi. Tra poco arriverà il grande freddo e si rischia una crisi umanitaria”. Lo stesso allarme è stato lanciato nei giorni scorsi dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr): “La principale sfida ora è prepararsi all’inverno – ha detto Stephanie Woldenberg – è una corsa contro il tempo e l’Unhcr è preoccupata in particolare per le famiglie e i soggetti vulnerabili, che sono più a rischio”.
Anastasi racconta di aver visto in Bosnia “tante famiglie, con 4-5 bambini”: “A Bihac abbiamo visitato il campo informale di Borici, nato in un casermone abbandonato, un edificio pericolante, senza porte né finestre, dove si sono insediate alcune centinaia di persone, le più fortunate. Tutti gli altri si sono accampati sul prato attorno all’edificio. A Velika Kladusha le persone sono tutte accampate all’aperto, i più fortunati in tenda. Abbiamo trovato una situazione di totale abbandono. Il sindaco di Bihac ci ha detto di aver chiesto aiuto al governo, ma la situazione in Bosnia è già difficile di per sé, con tante persone che lasciano il Paese, e hanno difficoltà ad affrontare questa emergenza umanitaria”.
E’ soprattutto la Croce rossa internazionale a garantire pasti caldi ai migranti, in particolare nel campo di Borici, mentre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’Unhcr gestiscono un centro allestito in un ex albergo, sempre nella zona di Bihac, dove sono accolti i più vulnerabili, in particolare le famiglie con bambini. Al momento, ha detto Anastasi, “non è chiaro se ci siano minori non accompagnati, perché non c’è alcun sistema di identificazione”. La maggior parte dei migranti arriva da Afghanistan, Siria, Iraq, Pakistan, ma anche da Libia e Marocco, arriva in Bosnia dalla Serbia, “e sono gli stessi dei flussi del 2015-2016, tanto che i bambini parlano già serbo, bosniaco, croato”, ha raccontato Anastasi.
“L’altra rotta arriva dalla Turchia e passa per Grecia, Albania e Montenegro. Gli sconfinamenti in Croazia sono quotidiani, con le persone che cercano di superare la frontiera, una delle zone più minate al mondo, e la polizia croata che le cattura e le rimanda indietro”. Ma se “la macchina umanitaria si organizza a fatica, quella illegale è molto efficiente”, ha concluso Anastasi, raccontando di aver appreso da più persone che in Bosnia si è venuta a creare una rete “di passeur che portano le persone fuori dal paese, verso la Germania e la Svezia. E molti riescono ad arrivare. Il viaggio costerebbe tra i 2.000 e i 3.000 euro, con le persone che versano una caparra su un conto e pagano poi il resto solo all’arrivo, perché spesso non arrivano, se vengono beccati dalla polizia croata”.