E’ uno degli artisti più noti al mondo, i suoi dipinti e le sue sculture così pieni di forme sono un vero e proprio marchio di fabbrica. Ma lui, il colombiano Botero, non ha pose da star e racconta così la storia della sua ultra cinquantennale carriera. “Ho cominciato intuitivamente a fare molte cose come le faccio oggi, lavori volumetrici – ha detto -. Ma dopo un processo di razionalizzazione ho creato uno stile personale, che io considero importante, nel senso che la gente sente che c’è una serietà, una autenticità”. A Milano per presentare la monografia che Rudy Chiappini gli ha dedicato, pubblicata da Skira, Botero ha ribadito uno dei suoi pensieri più celebri, ossia la necessità di un radicamenti territoriale dell’artista. “Io ho sempre creduto – ha aggiunto il pittore – che l’arte per essere universale deve cominciare con l’essere parrocchiale, legata a un posto. Un pittore deve avere i piedi per terra, è molto importante, per dare autenticità al lavoro bisogna appartenere a un luogo”.
Una appartenenza che è anche quella dell’artista al suo lavoro: dipingo per me – ci ha detto Botero – ma ho la fortuna di poter comunicare questa gioia anche agli altri. E quando gli chiediamo cosa ha in programma per il futuro, l’83enne pittore risponde così: “Io continuo a lavorare, fortunatamente, con la stessa energia con cui lavoravo 30 anni fa, dipingo in piedi per cinque o sei ore al giorno, lavoro tutti i giorni, perché non ho mai trovato qualcosa che mi interessi di più o che mi dia più piacere della pittura. Il grande progetto è continuare a vivere per dipingere”. Impossibile non pensare a un altro grande colombiano, quel Gabriel Garcia Marquez con il suo “Vivere per raccontarla”. Anche nel caso di Botero si coglie la stessa indomabile urgenza.