Brexit cinque anni dopo, per il Regno Unito un disastro economico da 100 miliardi l’anno
Le piccole e medie imprese sono tra le più colpite, soffrendo le conseguenze dei nuovi controlli alle frontiere che hanno complicato i rapporti commerciali
A cinque anni dall’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione Europea, il conto economico e sociale della Brexit si rivela pesante. Un’analisi del quotidiano The Independent traccia un quadro preoccupante: calo degli scambi commerciali del 15% nel lungo termine, una perdita annua di produzione stimata in 100 miliardi di sterline e un PIL inferiore del 4% rispetto a quanto sarebbe stato senza il “divorzio” dall’Ue. Mentre il costo del solo accordo post-Brexit con Bruxelles ammonta a 30,2 miliardi di sterline, di cui 23,8 miliardi sono già stati versati, resta un saldo di 6,4 miliardi ancora da pagare.
Le piccole e medie imprese sono tra le più colpite, soffrendo le conseguenze dei nuovi controlli alle frontiere che hanno complicato i rapporti commerciali. I settori agricolo e ittico, in particolare, hanno subito gravi perdite: le esportazioni di prodotti ittici sono calate del 25% dal 2019, mentre l’agricoltura ha registrato difficoltà legate alla perdita di fondi europei e alla carenza di manodopera. Contrariamente alle promesse di una riduzione dell’immigrazione, il saldo netto migratorio ha raggiunto livelli record con 2,3 milioni di nuovi ingressi tra il 2021 e il 2024, alimentati da un aumento dell’immigrazione extraeuropea.
Le conseguenze negative della Brexit sono state confermate da autorevoli istituzioni britanniche, inclusa la Bank of England e l’Office for Budget Responsibility (OBR), che attribuiscono alla separazione dall’Ue una riduzione degli investimenti e un’inflazione alimentare maggiore dell’8% rispetto a uno scenario senza Brexit. Il settore alimentare ha perso in media 2,8 miliardi di sterline l’anno in esportazioni verso l’Unione Europea, aggravato da burocrazia e nuovi controlli alle frontiere.
Anche le università britanniche hanno accusato il colpo, con un drastico calo degli studenti europei a causa delle nuove tariffe internazionali. La Brexit, concepita per rafforzare la sovranità e migliorare il sistema sanitario nazionale (NHS) attraverso risparmi di 350 milioni di sterline settimanali, non ha mantenuto le promesse iniziali. Anzi, personalità di spicco come l’ex vice primo ministro Michael Heseltine definiscono il divorzio dall’Ue un “disastro storico”, che ha ridotto le opportunità per i giovani e penalizzato l’industria nazionale.
Il governo laburista di Keir Starmer, in carica dal luglio scorso, ha avviato un “reset” delle relazioni con l’Ue, pur escludendo ogni possibilità di rientrare nel mercato unico o di ripristinare la libertà di movimento dei cittadini. Tuttavia, le critiche non mancano. Sir Nick Harvey, direttore del think tank European Movement UK, invoca una maggiore integrazione con l’Europa per ridurre i danni economici.
Se è vero che la Brexit ha consentito qualche margine di flessibilità normativa, come l’eliminazione della “tampon tax” e modifiche sull’IVA, tali benefici appaiono marginali rispetto ai costi complessivi. A cinque anni di distanza, la Brexit si conferma una scelta divisiva e onerosa, il cui bilancio appare sempre più lontano dalle promesse di una rinascita nazionale.