Ultime ore per i negoziati dietro le quinte fra i Ventisette sull’assegnazione delle nuove sedi delle due agenzie Ue che dovranno lasciare Londra dopo la Brexit, l’Agenzia europea dei farmaci (Ema), che vede ben 19 città candidate, fra cui Milano, e l’Autorità bancaria europea (Eba), con otto candidature. La selezione delle due nuove sedi si svolgerà tramite un complicato meccanismo di voto lunedì a Bruxelles, a margine del Consiglio Affari generali dell’Ue, a cui partecipano i ministri degli Affari europei (per l’Italia, il sottosegretario Sandro Gozi). Al termine del Consiglio, nel pomeriggio, una volta uscito il collega britannico, i ministri dei Ventisette passeranno alle urne. Si voterà prima per l’Ema e poi per l’Eba. Al primo turno, ogni Paese indicherà nella scheda la città candidata favorita (tre voti), e poi la seconda e la terza opzione (rispettivamente due voti e un voto). Ogni Stato membro dovrà attribuire tutti e sei i voti a sua disposizione, e non sarà possibile indicare solo una preferenza, pena l’annullamento della scheda, come in caso di astensione. Al termine del primo turno sarà selezionato il candidato eventualmente indicato come prima scelta (con tre voti) dalla maggioranza dei paesi (14 su 27). Se, come sembra probabile, nessuna candidatura avrà il sostegno pieno di almeno 14 Stati membri, si passerà al secondo turno, a cui parteciperanno solo i tre candidati piazzatisi meglio al primo turno, conteggiando tutti i voti espressi (come prima, seconda e terza scelta). In questo caso, ogni Paese esprimerà un solo voto per il candidato favorito: vincerà chi otterrà la maggioranza (14 voti o più). Se anche il secondo turno terminerà senza che nessuno dei tre candidati abbia ottenuto la maggioranza, si passerà al ballottaggio finale fra i due più votati, sempre con la possibilità per ogni Paese di esprimere un solo voto. Nell’ipotesi di un pareggio alla fine del voto, il vincitore sarà sorteggiato fra i due “finalisti”.
Le città candidate a ospitare l’Ema sono innanzitutto Milano, Amsterdam, Copenaghen, Vienna, e Barcellona, le cinque obiettivamente e “tecnicamente” più forti, favorite dal personale dell’agenzia, ma con la capitale catalana indebolita dai recenti sviluppi nella controversia indipendentista; poi la slovacca Bratislava, favorita dal punto di vista del solo criterio di redistribuzione geografica e probabilmente dall’appoggio di diversi paesi dell’Est; e infine, le meno convincenti (ma non si escludono sorprese) Stoccolma, Atene, Bonn, Bruxelles, Bucarest, Dublino, Helsinki, Lillà, Malta, Porto, Sofia, Varsavia e Zagabria. Le candidature per l’Eba che appaiono più forti sulla carta sono Francoforte (che è già sede della Bce e della Bundesbank tedesca), e le altre due “capitali finanziarie” dell’Europa continentale, Lussemburgo e Parigi, nonché Dublino (favorita dal fatto che vi si parla inglese); seguono Vienna, Praga, Varsavia e Bruxelles. Il sistema di voto è concepito in modo che alla fine vi sia comunque un candidato vincitore indiscutibile per ciascuna delle due sedi, ma non garantisce affatto la selezione del candidato tecnicamente migliore in base ai criteri oggettivi che aveva indicato la Commissione europea, e che erano stati accettati dagli Stati membri nel giugno scorso: 1) l’assicurazione che le due agenzie possano essere pienamente operative nelle nuove sedi al momento dell’uscita del Regno Unito dall’Ue; 2) l’accessibilità delle nuove sedi da tutte le capitali europee; 3) l’esistenza di strutture educative adeguate (e internazionali) per accogliere i figli del personale delle agenzie; 4) accesso “appropriato” alla sicurezza sociale, al sistema sanitario e al mercato del lavoro per gli impiegati delle agenzie e per le loro famiglie; 5) la garanzia per l’Ema e l’Eba di poter continuare la propria attività immediatamente dopo il trasloco e senza interruzione (“business continuity”); 6) la redistribuzione geografica (ovvero privilegiare, per quanto possibile, le candidature di paesi che non ospitano già altre agenzie europee).
Milano, obiettivamente, è in buona posizione per tutti i criteri, salvo l’ultimo, che però alla fine potrebbe avere un peso notevole, con il sostegno dei “nuovi” Stati membri. Inoltre, al primo turno è possibile che, paradossalmente, diversi paesi candidati cerchino di diminuire le “chances” dei concorrenti al secondo turno indicando come seconda e terza scelta proprio le candidature più deboli. Ma la caratteristica più importante di questo meccanismo è che, contrariamente alla logica ponderata e “federale” del sistema di voto in Consiglio – che prende in considerazione per il conseguimento della maggioranza qualificata non solo il numero di Stati favorevoli a una decisione (soglia del 55%), ma anche l’importanza della popolazione che rappresentano (soglia del 65%) -, in questo caso ogni Paese avrà esattamente lo stesso peso di qualunque altro Stato membro, indipendentemente dal numero di abitanti. Uno vale uno, insomma. Questo significa che non ha senso, per i candidati, cercare di ottenere il sostegno dei Paesi “importanti”, come avviene in genere nei negoziati per le decisioni del Consiglio Ue: qui la Germania vale quanto Malta, e la Francia quanto il Lussemburgo. A giocare subito la partita in questo senso è stata proprio l’Italia, che ha cercato di ottenere l’appoggio per Milano dei tre Paesi baltici e della Slovenia (non candidati per nessuna delle due sedi). A Bruxelles si parla anche (ma il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha smentito) della promessa di una più forte presenza italiana nelle forze militari multinazionali della Nato dispiegate in Lettonia, Estonia e Lituania. Un altro piccolo Paese oggetto delle lusinghe italiane sarebbe il Lussemburgo, a cui Roma avrebbe promesso il sostegno per l’assegnazione della nuova sede dell’Eba, in cambio dell’appoggio per l’Ema a Milano.
Anche il governo greco sembra intenzionato a votare per la candidatura italiana, se non riuscirà a portare Atene al secondo turno, almeno stando a quanto ha indicato il ministro degli Esteri Georgios Katrougalos. Da prendere con le pinze, invece, il sostegno a Milano annunciato dal ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel, sempre nel caso che la città candidata dalla Germania, Bonn, non passi al secondo turno. Gabriel appartiene alla Spd, che non parteciperà alla prossima coalizione di governo a Berlino, e potrebbe essere costretto a cambiare posizione. Inoltre, la Germania ha come interesse principale l’assegnazione dell’Eba a Francoforte, quando l’Italia sembra invece propendere per Lussemburgo. Infine, è molto probabile che questa vicenda s’intrecci con un’altra partita europea importantissima e già in corso: l’elezione del nuovo presidente dell’Eurogruppo, che si svolgerà fra poco più di due settimane, il 4 dicembre a Bruxelles. Si sa che tra i candidati possibili, se varrà il criterio secondo cui la presidenza dell’Eurogruppo tocca a un socialista, visto che il Ppe ha suoi esponenti ai vertici di tutte e tre le istituzioni europee), ci sono il ministro slovacco Peter Kazimir, il maltese Edward Scicluna, il portoghese Mario Centeno, e forse anche l’italiano Pier Carlo Padoan e l’attuale commissario Ue agli Affari economici e finanziari, il francese Pierre Moscovici. Comunque, le promesse e i “do ut des” dietro le quinte non saranno scritti nella pietra, perché il voto sulle due agenzie da ricollocare si svolgerà a scrutinio segreto: le schede saranno distrutte dopo il conteggio, e sarà difficile dimostrare che ci siano state promesse non mantenute, doppi giochi e tradimenti.