“Lo Stato italiano si deve adeguare alla sentenza definitiva della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel 2015 stabilì che Bruno Contrada, l’ex numero tre del Sisde, non andava condannato per concorso esterno in associazione mafiosa”. A chiederlo è stato il legale di Contrada, Stefano Giordano. Il quale, da un lato, attraverso un cosiddetto “incidente d’esecuzione”, ha chiesto che la Corte d’Appello di Palermo revochi la condanna da essa emessa; dall’altro ha inviato una lettera al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa perché si adottino tutti i provvedimenti affinché lo Stato Italiano recepisca la decisione dei giudici di Strasburgo. “Siamo di fronte a un caso paradossale in cui la Corte Europea ha stabilito la violazione della convenzione, ma lo Stato italiano non ha ancora messo in esecuzione la sentenza rimuovendo ogni effetto giuridico e penalistico di quella condanna”, ha detto Giordano.
Per la Corte Europea all’epoca dei fatti contestati al super poliziotto, il reato per cui era stato chiamato alla sbarra non era ancora definito chiaramente dall’ordinamento italiano. “La Corte Europea sostiene che prima del 1994, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non fosse sufficientemente chiaro e prevedibile, mancava in effetti una norma che definisse il contorno del reato”. Una nuova tappa di una vicenda giudiziaria iniziata il 24 dicembre del 1992, che ha visto in questi due decenni e mezzo Bruno Contrada scontare 8 anni, tra carcere e domiciliari, e che sebbene abbia minato il fisico dell’uomo, non sembra averne scalfito la determinazione ad andare avanti, affinchè su questa vicenda sia fatta piena luce. Contrada ha aperto le porte di casa sua a Palermo ad Askanews per ribadire il suo pensiero: “Vivo questa condizione umana facendo appello ancora una volta a tutte le mie residue forze fisiche, mentali, intelletive, morali, per lottare fino all’ultimo. E lotterò fino all’ultimo respiro per far emergere la verità sulla mia vicenda giudiziaria”.