Improvvisamente è cambiato il clima a Bruxelles nel negoziato sulla Brexit: non che sia tornato a splendere il sole, ma sembra che finalmente si cominci a parlare sul serio di alternative non solo ipotetiche, ma anche effettivamente praticabili ed efficaci al “Backstop” (il dispositivo che garantisce in ogni caso il non ritorno della frontiera fisica terrestre fra le due Irlande). E questo nella prospettiva di un compromesso che emendi l’Accordo di ritiro – bocciato quattro volte dal Parlamento britannico e fino a poco tempo fa dichiarato intoccabile dai Ventisette – e scongiuri la “hard Brexit”. La svolta (il “breakthrough”) è stata originata dal lungo e inaspettatamente cordiale e costruttivo incontro fra il premier britannico Boris Johnson e il collega irlandese Leo Varadkar. Ma non è ancora emerso su quali elementi i due leader abbiano trovato, se non convergenze, almeno un terreno comune su cui basare i negoziati.
Come ha riferito la Commissione europea, Michel Barnier, capo negoziatore dell’Ue, ha avuto questa mattina a Bruxelles un “incontro costruttivo” con Steve Barclay, il segretario di Stato britannico per la Brexit, da cui è uscito con una notizia a questo punto attesa: le due parti “hanno concordato di intensificare le discussioni nei prossimi giorni”, a conferma del fatto che quel terreno comune ora esiste. Nel pomeriggio, ieri, Barnier ha informato sulla situazione prima gli ambasciatori dei Ventisette nel Coreper (il Comitato tecnico dei rappresentanti permanenti degli Stati membri, che prepara le riunioni ministeriali del Consiglio Ue) e successivamente lo “Steering group” sulla Brexit del Parlamento europeo. In pratica, come hanno riferito fonti della presidenza di turno finlandese del Consiglio Ue, “i negoziati continueranno durante il week-end e Barnier tornerà poi a informare gli Stati membri, e fornire chiarimenti sulla via da seguire”, probabilmente lunedì. I ministri degli Affari europei potranno così parlarne nella formazione a 27 dedicata alla Brexit, durante la prima parte della loro riunione al Consiglio Affari generali di martedì, a Lussemburgo.
La riunione ministeriale di martedì sarà dedicata alla preparazione del Consiglio europeo di Bruxelles del 17 e 18 ottobre; la speranza è che proprio a quel vertice i capi di Stato e di governo possano prendere atto della nuova possibilità di evitare la temuta uscita senza accordo (“no deal Brexit”) che nei giorni scorsi stava diventando sempre più probabile. L’Ue, nelle ultime settimane ha già accettato di non considerare più intoccabile l’Accordo di ritiro, a condizione che si trovino soluzioni alternative con effetto equivalente, e ha riconfermato le sue condizioni: nell’accordo di recesso deve esserci una soluzione giuridicamente operativa che salvaguardi il mercato unico Ue, eviti il ritorno della “frontiera dura” terrestre in Irlanda, protegga l’economia integrata a livello dell’intera Isola (“All Island economy”) e preservi “in tutte le sue dimensioni” l’accordo del Venerdì Santo di Belfast che mise fine alla guerra civile. Ma gli elementi su cui si sta negoziando, a quanto pare di capire a Bruxelles, sarebbero soprattutto delle modifiche che rendano accettabile per gli europei la proposta di “cooperazione doganale” alternativa al Backstop presentata recentemente da Johnson, e demolita senza pietà da Barnier mercoledì di fronte alla plenaria del Parlamento europeo. Le modifiche riguarderebbero in particolare (ma non solo) due punti.
Il primo è quello dei controlli doganali per i prodotti che entrano in Irlanda nel Nord (e dunque in tutta l’Isola e nel mercato unico Ue), che non possono essere affidati al dispositivo disordinato, poco convincente e mai testato proposto da Johnson. Qui ritornerebbe l’ipotesi di lasciare l’Irlanda del Nord nell’Unione doganale con l’Ue, ma senza che questo valga anche per la Gran Bretagna (come prevede l’attuale versione del Backstop). Resta comunque da risolvere una questione: puó l’Irlanda del Nord far parte allo stesso tempo anche dell’Unione doganale del Regno Unito? Il secondo è il “consent”, in pratica un diritto di veto, inaccettabile per l’Ue, che il premier britannico propone di concedere all’Assemblea nordirlandese di Stormont sul dispositivo che sostituirebbe il Backstop. Johnson prevede che l’Assemblea di Stormont possa bloccare il dispositivo fin dall’inizio, prima ancora che parta, e poi tornare a votare ogni quattro anni se mantenerlo o no. La domanda senza risposta è: che succede se il dispositivo è bocciato? Non c’è, nella proposta di Johnson, alcuna rete di sicurezza, alcuna alternativa, alcun piano B.
Qui la soluzione potrebbe essere quella di prevedere un doppio “consent”, non solo all’Assemblea Nord irlandese di Stormont ma anche al Parlamento irlandese di Dublino: solo in caso di doppio “opt out” il dispositivo alternativo al “Backstop” verrebbe abolito, con un’assunzione di responsabilità comune da parte di tutti gli irlandesi per le conseguenze possibili. Un ultimo punto sicuramente in discussione non riguarda il “Backstop” ma la “Dichiarazione politica” allegata all’Accordo di recesso, che prefigura rapporti futuri dopo la Brexit basati su una cooperazione stretta in diversi settori. Johnson vuole modificare profondamente questa impostazione, e basare le relazioni future su un trattato di libero scambio che lasci la più totale libertà a Londra. Verrebbero soppressi tutti i riferimenti al “level playing field”, cioè a regole del gioco compatibili, se non equivalenti, che si applicherebbero nell’Ue e nel Regno Unito in materia fiscale, di aiuti di Stato, di diritti sociali, ambientali, e dei consumatori. Come ha spiegato Barnier mercoledì, l’Ue non può accettare questa posizione, perché implica una “una competizione normativa che comporta per noi rischi di dumping fiscale, sociale, ambientale”. Il governo britannico dovrà dunque adottare su questo una posizione più accomodante. askanews