La tempesta sul mercato dei cambi innescate dalla recente svalutazione a sorpresa dello Yuan cinese non accenna calmarsi, con interventi delle banche centrali e bruschi cali registrati dalle monete di paesi come Kazakistan, Russia, Sud Africa e Turchia. Sullo sfondo il timore che, dopo anni di forte domanda di materie prime, il motore della crescita economica cinese stia rallentando. E così anche una decisione come quella di Pechino, dettata anche dalla volontà di avvicinare la divisa nazionale alle forze di mercato e alloo status di moneta di riserva, rischia di scatenare una involontaria guerra valutaria. L’onda più alta oggi è arrivata in Kazakistan dove, a nove giorni dalla svalutazione dello Yuan la valuta nazionale, il Tenge, ha perso oggi oltre il 30% del suo valore – a quota 257,7 contro dollaro – dopo che il governo di Astana ha annunciato la libera fluttuazione rinunciando alla banda di oscillazione che era stata ampliata solo un giorno prima. Il ‘doppio passo valutario’ del Paese petrolifero asiatico che ha forti legami commerciali sia con la Russia sia con la Cina, giunge in una fase critica per l’economia nazionale, che accusa i contraccolpi del crollo del rublo e dei prezzi del greggio. Il Kazakistan segue così anche le orme del Vietnam, che aveva allargato la sua banda di oscillazione valutaria per ben due volte dallo scorso 11 agosto.
Acque agitate anche per la lira turca, che ha toccato un minimo storico stamani, superando quota tre per dollaro per la prima volta. In apertura la valuta turca ha raggiunto il livello di 3,0031 lire per dollaro, prima di recuperare lievemente a 2,99, con un calo del 2,25% rispetto a ieri. Nell’ultimo mese la lira ha perso il 10,65% del suo valore sul dollaro, il 27,88% da inizio anno. Gli investitori temono l’incertezza politica e le prospettive di un nuovo voto, dopo che le elezioni del 7 giugno non hanno espresso una maggioranza politica certa. La caduta di oggi sembra essere stata scatenata dall’annuncio della Commissione elettorale che un nuovo voto potrebbe tenersi il 1 novembre. I mercati sono preoccupati anche della campagna antiterrorismo senza precedenti avviata dal governo di Ankara sia contro i jihadisti in Siria sia contro i militanti curdi nel sudest della Turchia e nel nord dell’Iraq. Caduta libera anche per il rublo: la moneta russa oggi per la prima volta da sei mesi è scesa oltre quota 75 contro l’euro mentre nei confronti del dollaro è scesa a quota 67,44, il livello più basso da febbraio. Negli ultimi due mesi soltanto il rublo ha perso oltre il 20% nei confronti del biglietto verde alimentando i timori di ulteriore instabilità dopo un periodo di relativa ripresa. In Sud Africa, infine, il rand è calato al livello più basso dal 2001. Ma non è detto che i contraccolpi siano finiti.
“Non possiamo escludere ulteriori aggiustamenti sul mercato dei cambi nei prossimi mesi e crediamo che la loro dimensione e tempistica potrebbero essere correlate a ulteriori modifiche dei tassi del renminbi cinese”, ha dichiarato al Financial Times Dmytro Bondar, analista tecnico presso la Banca Rbs. Un effetto potenzialmente pericoloso di questa ondata di svalutazioni riguarda la solidità finanziaria dei paesi asiatici interessati dalle svalutazioni a catena, non solo per i crescenti segnali di fughe di capitali dall’area, ma anche per le crescenti difficoltà che si manifesteranno nel rimborsare i debiti denominati in dollari, ora sensibilmente più costosi. Secondo le stime della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea (Bri) i Paesi emergenti negli ultimi 5 anni hanno più che raddoppiato la loro esposizione debitoria in dollari a 4.500 miliardi di dollari. Un rialzo dei tassi statunitensi da parte della Federal Reserve, da molti dato per imminente, non farebbe che aggravare questo scenario.