di Maurizio Balistreri
Il premier britannico non farà scattare l’Articolo 50 dei Trattati europei – che regola l’uscita dall’Ue di un Paese membro – in occasione del prossimo vertice dei Capi di Stato e di governo dell’Unione, in programma martedì a Bruxelles: lo hanno reso noto fonti diplomatiche europee. In altre parole, Cameron non presenterà alcuna notifica ufficiale della volontà di Londra di uscire dall’Ue – condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione dell’articolo 50 – ma si limiterà a “riferire l’esito del referendum e la situazione in Gran Bretagna”, secondo quanto spiegato dalle fonti. Tutti i paesi membri “capiscono che al momento la Gran Bretagna sta attraversando una crisi di non poco conto”. “La questione di come e quando uscire farà parte delle comunicazioni di Cameron martedì, e la posizione degli altri leader è che sono pronti ad iniziare il processo il più presto possibile, nel miglior interesse della Gran Bretagna e dell’Unione Europea”. Dopo la sconfitta referendaria Cameron ha indicato di voler lasciare la gestione del processo di uscita dall’Ue al suo successore, rassegnando le proprie dimissioni che saranno però effettive solo a partire da ottobre: un intervallo di tempo che gli altri leader dell’Ue hanno giudicato inutilmente lungo, invitando Londra a notificare ufficialmente al più presto la propria decisione.
David Cameron, in pratica, vuole lasciare al suo successore il compito di negoziare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, ma l’idea di una staffetta a Downing Street decisa in seno al partito Tory rischia di affondare nel caos in cui la politica britannica è precipitata con il referendum sulla Brexit. In campo Labour è piena tempesta, con le dimissioni di metà gabinetto ombra in vista della resa dei conti, probabilmente domani, con il leader Jeremy Corbyn, contestato per non essersi speso per convincere gli elettori a schierarsi contro l’uscita dall’Ue e dichiarato ‘unfit’ per dirigere il partito, “incapace” di guidare i laburisti verso nuove elezioni che, a questo punto, non sembrano più così lontane. “Questione di mesi”, scrive Gloria de Piero, la ministra ombra figlia di immigrati italiani che a metà giornata era l’ultima dei ministri ombra laburisti a voltare le spalle a Corbyn, con una lettera in cui scrive al segretario di non credere “che lei ci possa portare alla vittoria alle prossime elezioni generali”.
Nella notte era già saltato il ministro degli Esteri ombra, Hilary Ben, licenziato dallo stesso Corbyn dopo una telefonata in cui si è sentito dire di non avere più la fiducia del suo ‘capo diplomatico’. Poi via Twitter è arrivato l’annuncio delle dimissioni della responsabile della Sanità in seno al governo ombra, Heidi Alexander. In tutto sei della squadra di Corbyn hanno fatto sapere che hanno deciso di andarsene domani. Fonti vicine al leader Labour hanno riferito che Corbyn “è determinato a restare”. Già domani una mozione di sfiducia presentata da due deputati laburisti sarà discussa dal gruppo parlamentare e potrebbe esserci un voto – segreto – il giorno successivo. Non è che butti bene neppure in campo conservatore, in piena guerra di successione dall’annuncio delle dimissioni di Cameron. L’ex sindaco di Londra e capofila della campagna per l’uscita dall’Ue Boris Johnson è pronto a lanciare l’offensiva per entrare a Downing Street senza passare da nuove elezioni, ma è già nel mirino di pesanti contestazioni in seno al partito Tory. I partigiani del Remain intendono fargli pagare una campagna aggressiva e da molti giudicata “piena di falsità” – in particolare sulle conseguenze economiche della Brexit – e un gioco cinico, tutto mirato ad arrivare alla guida del governo, poi si vedrà. (con fonte Afp)