Cronaca

Camorra, arresti clan Puca. Ricostruito omicidio boss e racket

L’omicidio del boss rivale, determinato dalla necessita’ di affermare la propria supremazia in un territorio, ma anche la capillare richiesta di ‘pizzo’ tra Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano, imponendo a bar e strutture ricettive slot machine di ditte ‘amiche’ soprattutto, e anche tangenti a imprenditori e commercianti. E’ lo scenario ricostruito dall’indagine dei carabinieri di Castello di Cisterna che decapita il gruppo Puca, uno dei meglio organizzati militarmente ed economicamente dell’area Nord del Napoletano, portando all’emissione da parte del gip di Napoli di 8 misure cautelari, una delle quali non eseguita e un’altra notificata a un indagato gia’ detenuto.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo, Luigi Di Spirito, fedelissimo del boss detenuto al 41 bis Pasquale Puca chiamato ‘o minorenne, suo referente e uomo che gestiva l’approvvigionamento di coca e hashish ai clan Mazzarella, Amato-Pagano, Longobardi-Beneduce e Marrazzo; nonche’ Francesco Dell’Olmo, che cura i rapporti con gli Amato-Pagano e le estorsioni attraverso l’imposizione di macchinette per giochi d’azzardo; ma anche Lorenzo Iavazzo, detto sparavolpe, killer del gruppo, e Antonio Femiano, l’uomo che ricicla il denaro sporco e distribuisce mensilita’ agli affiliati, entrambi coinvolti nell’omicidio del boss Francesco Verde nel 2007. L’inchiesta infatti ha ricostruito la fase decisionale dell’eliminazione fisica del capo del gruppo rivale sul territorio, ma anche la pianificazione e la rete di appoggi attraverso la quale i sicari si procurarono e si disfarono delle armi e della vettura utilizzata nell’agguato.

Secondo gli investigatori, le estorsioni, principale fonte di sostentamento della cosca insieme al traffico e allo spaccio di droga, erano sempre state ‘a tappeto’, senza cioe’ trascurare nessun settore del tessuto economico del territorio dei Puca, ma negli ultimi tempi venivano condotte con una linea differente rispetto al passato, facendo capo al referente di zona. Le armi sequestrate nel corso dell’inchiesta, tra cui una mitraglietta Uzi considerata da guerra, erano pronte all’uso e ben conservate, frutto di due diversi ritrovamenti, uno a casa di un indagato perquisito, che le aveva nascoste in una intercapedine di una parete, l’altro in un terreno dove erano state sotterrate, avvolte con cura in stracci e cellophane per non danneggiarle. Intercettazioni ambientali e telefoniche e dichiarazioni di pentiti hanno fornito molti elementi investigativi ai carabinieri.

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