APERTURA

Canada, Cina, Ue e Messico: quattro strategie contro i dazi Usa

Le misure commerciali unilaterali adottate dall’amministrazione Trump, in particolare i dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio introdotti sotto la giustificazione di “sicurezza nazionale”, hanno innescato una crisi multilaterale senza precedenti, mettendo a nudo le fragilità del sistema di governance economica globale. Mentre Washington insiste nel difendere tali provvedimenti come strumenti per riequilibrare deficit commerciali e proteggere l’industria domestica, la comunità internazionale reagisce con una combinazione di azioni legali, ritorsioni mirate e strategie difensive, rischiando di trascinare l’economia mondiale in una spirale di frammentazione.

Canada e Cina: due approcci distinti all’appello all’OMC

Il Canada, il cui 75% delle esportazioni di acciaio e alluminio è diretto verso gli Stati Uniti, ha definito i dazi “un attacco inaccettabile alla sovranità economica”. Oltre al ricorso formale all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), Ottawa ha annunciato dazi compensativi del 25% su beni statunitensi per un valore di 16,6 miliardi di dollari, colpendo settori simbolici come il whisky del Kentucky e i prodotti siderurgici. La mossa riflette non solo una risposta economica, ma anche politica: il primo ministro Justin Trudeau, già in tensione con Trump su temi come il NAFTA (poi rimpiazzato dall’USMCA), cerca di consolidare la propria immagine di difensore del multilateralismo in vista delle elezioni.

La Cina, invece, adotta una strategia ibrida. Da un lato, Pechino denuncia all’OMC la “violazione degli impegni WTO” da parte degli USA, sottolineando come i dazi settoriali violino l’articolo XXI del GATT, che regola le eccezioni per la sicurezza nazionale. Dall’altro, minaccia ritorsioni asimmetriche: oltre a dazi su prodotti agricoli statunitensi (soia, maiale), potrebbe limitare l’accesso delle multinazionali USA al suo mercato digitale o rallentare le approvazioni per fusioni nel settore tech. La posta in gioco è elevata: la Cina teme un effetto domino su settori high-tech come i semiconduttori, già al centro della guerra tecnologica con Washington.

Ue: unità nella minaccia, ma divisioni interne

L’Unione Europea, inizialmente esentata dai dazi, è oggi in allerta per possibili estensioni delle misure a automobili o componenti elettronici. La commissaria al Commercio Valdis Dombrovskis ha ribadito che l’UE risponderà con “fermezza proporzionata”, ma dietro la retorica unitaria si nascondono tensioni. Paesi come la Germania, con un export automobilistico di 50 miliardi annui verso gli USA, spingono per un compromesso, mentre Francia e Italia premiano per una linea dura, incluso il blocco dei negoziati su accordi settoriali.

Le contromisure UE, già approvate nel 2021, includono dazi del 50% su prodotti come Harley-Davidson e jeans Levi’s, scelti per il loro valore simbolico negli Stati chiave elettorali USA. Tuttavia, Bruxelles valuta anche strumenti più sofisticati: sussidi all’industria siderurgica verde (nell’ambito del Green Deal), clausole di reciprocità negli appalti pubblici e l’accelerazione dell’accordo con il Mercosur per diversificare le importazioni.

Messico: tra ritorsioni e pragmatismo negoziale

Il Messico, strettamente integrato con gli USA attraverso l’USMCA, ha optato per una risposta bilanciata. Oltre a dazi del 20% su prodotti come mele dell’Idaho e formaggi del Wisconsin, sta introducendo barriere non tariffarie: ispezioni fitosanitarie rafforzate per la frutta USA, sussidi alla produzione nazionale di acciaio e requisiti di contenuto locale per l’automotive. L’obiettivo è proteggere settori vitali (il 25% del PIL messicano dipende dalle esportazioni manifatturiere) senza innescare una rottura con Washington, cruciale per le rimesse (42 miliardi di dollari nel 2022) e gli investimenti.

Tuttavia, il governo di López Obrador deve navigare tra pressioni interne: i sindacati industriali chiedono maggiore protezione, mentre le élite economiche temono ritorsioni USA sul settore energetico, già al centro di dispute legali per le politiche nazionaliste di AMLO.

OMC sotto stress: il rischio di un sistema paralizzato

L’Organizzazione Mondiale del Commercio, già indebolita dal blocco della nomina dei giudici dell’Organo d’Appello durante l’era Trump, fatica a mediare. I ricorsi di Canada e Cina potrebbero richiedere anni, data l’assenza di un meccanismo di risoluzione dispute pienamente operativo. Se gli USA ignorassero eventuali sentenze sfavorevoli – come già fatto nel caso del acciaio-antidumping del 2022 – l’OMC rischierebbe di diventare irrilevante, spingendo i Paesi verso accordi bilaterali o blocchi regionali.

Alcuni esperti propongono riforme urgenti: aggiornare le regole sulle sovvenzioni statali (oggetto di contesa tra USA e Cina), includere clausole su cybersecurity e cambiamenti climatici, e creare un panel di emergenza per le crisi commerciali. Senza tali interventi, il sistema rischia di collassare, riportando il mondo a dinamiche di potere basate sulla forza economica unilaterale.

Implicazioni globali: dalla recessione tecnica alla nuova Guerra Fredda economica
Le ripercussioni economiche sono già tangibili: secondo il FMI, una escalation generalizzata dei dazi potrebbe ridurre il PIL globale dello 0,5% entro il 2025, con effetti moltiplicatori su Paesi esportatori come Germania e Corea del Sud. Le catene di approvvigionamento, già stressate dalla pandemia, subirebbero ulteriori interruzioni, innalzando i costi logistici e alimentando l’inflazione.

Pubblicato da
Giuseppe Novelli